Non era la prima volta che Giovanna Di Rosa, magistrato di sorveglianza del Tribunale di Sorveglianza di Milano, componente del CSM, da sempre particolarmente attenta alle problematiche della detenzione, partecipava alla prima della Scala a San Vittore.
Questa volta, ci racconta com'è stata...con gli occhi di dentro.
Raccontare della prima della Scala a San Vittore è facile: basta dire di un posto severo, dove il tempo è sempre fermo, ma che per una sera si anima e diventa improvvisamente caldo.
La rotonda di San Vittore |
Il luogo era la rotonda, centro della struttura panottica dalla quale si dipanano i bracci delle celle.
Chi conosce quel posto nella quotidianità sa che quella sera era completamente mutato: anche se i cancelli dei bracci sono rimasti chiusi, la rotonda e la strada per raggiungerla erano state illuminate e rese simili alla platea di un teatro, ovviamente al completo.
Il pubblico era composto però di persone eterogenee: agenti in divisa, detenuti e detenute addetti ai servizi di organizzazione, operatori, cittadini.
Lasciare che detenuti e detenute fossero seduti accanto al pubblico, con la possibilità addirittura di sfiorarsi, è stata una cosa grandissima: una scommessa, vinta, che ha superato le barriere della sicurezza e della gerarchia.
In effetti, i detenuti e le detenute che hanno assistito allo spettacolo erano stati selezionati con cura dagli operatori, tenendo conto delle preferenze e della storia di ciascuno.
Un detenuto si è persino vestito con completo nero e sciarpa bianca, come faceva quando, da libero, andava alla Scala. Gli altri erano comunque tirati a lucido, uomini e donne: al meglio, secondo le possibilità di ognuno.
Gli uomini erano 65, le donne 15.
Nessuno di loro ha fiatato, durante lo spettacolo. Ascoltavano, come rapiti da un incanto.
Tra un atto e l'altro, un critico d'arte spiegava l'opera, inquadrandola storicamente. Il critico è rimasto spiazzato dalla regia, alquanto innovativa: così le sue spiegazioni sono diventate una sorta di critica in diretta. Ma questo, per detenuti e detenute, non ha avuto alcuna importanza.
Ad un certo punto si è rotta una sedia, ma nessuno ha riso o disturbato: tutti sono rimasti immobili.
Prima dello spettacolo, un detenuto "giovane adulto" (appartenente cioè alla categoria tra i 18 e i 25 anni), soprannominato Balotelli perché somiglia al calciatore, ha rivolto ringraziamenti e spiegato il senso della loro presenza.
L'area pedagogica e quella della sicurezza hanno lavorato insieme: mi sono accorta che era stato predisposto un sistema di sicurezza "morbido", ma non per questo meno sicuro, certamente adeguato alla serata della solidarietà che si stava svolgendo per tutti.
Gli organizzatori correvano da una parte all' altra, vigili, per evitare qualsiasi problema, ma sorridenti e fiduciosi verso detenuti e detenute.
L'obiettivo era infatti quello di aprirsi, per una sera, di mettersi alla prova con l'esterno, di rendere finalmente visibili alla città persone normalmente invisibili, di rendere San Vittore il quartiere di una città che lo accoglie e non lo rimuove.
La preoccupazione era che tutto andasse bene.
Tutti hanno lavorato perché mediante un evento esterno che non poteva sottrarsi all' attenzione generale, come la prima della Scala, fosse consentito aprire la porta e il cuore della città verso la sofferenza e il dolore che quelle mura racchiudono, per condividerlo praticando la strategia buona dell'inclusione, anche se solo per una sera.
Alla fine dello spettacolo è stato offerto un risotto giallo, preparato al momento, nelle cucine della sezione femminile, a cura anche della scuola alberghiera, che organizza corsi all'interno del carcere, e servito dalle donne detenute, che mostravano chiaramente il desiderio di essere adeguate, la voglia di misurarsi e di provarlo.
All'uscita, ci sono stati omaggi di biscotti cucinati al carcere delle mamme, di cioccolatini preparati nel carcere di Busto Arsizio.
Non tutti lo sanno, forse, ma l'evento si è realizzato secondo le intenzioni.
Giovanna Di Rosa
La foto è tratta dal sito del Corriere della Sera