mercoledì 18 dicembre 2013

LA PRIMA DELLA SCALA A SAN VITTORE: CON GLI OCCHI DI DENTRO


Non era la prima volta che Giovanna Di Rosa, magistrato di sorveglianza del Tribunale di Sorveglianza di Milano, componente del CSM, da sempre particolarmente attenta alle problematiche della detenzione, partecipava alla prima della Scala a San Vittore.
Questa volta, ci racconta com'è stata...con gli occhi di dentro.


Raccontare della prima della Scala a San Vittore è facile: basta dire di un posto severo, dove il tempo è sempre fermo, ma che per una sera si anima e diventa improvvisamente caldo.

La rotonda di San Vittore
Il luogo era la rotonda, centro della struttura panottica dalla quale si dipanano i bracci delle celle.

Chi conosce quel posto nella quotidianità sa che quella sera era completamente mutato: anche se i cancelli dei bracci sono rimasti chiusi, la rotonda e la strada per raggiungerla erano state illuminate e rese simili alla platea di un teatro, ovviamente al completo.

Il pubblico era composto però di persone eterogenee: agenti in divisa, detenuti e detenute addetti ai servizi di organizzazione, operatori, cittadini.

Lasciare che detenuti e detenute fossero seduti accanto al pubblico, con la possibilità addirittura di sfiorarsi, è stata una cosa grandissima: una scommessa, vinta, che ha superato le barriere della sicurezza e della gerarchia.

In effetti, i detenuti e le detenute che hanno assistito allo spettacolo erano stati selezionati  con  cura dagli operatori, tenendo conto delle preferenze e della storia di ciascuno.
Un detenuto si è persino vestito con completo nero e sciarpa bianca, come faceva quando, da libero, andava alla Scala. Gli altri erano comunque tirati a lucido, uomini e donne: al meglio, secondo le possibilità di ognuno.
Gli uomini erano 65,  le donne 15.
Nessuno di loro ha fiatato, durante lo spettacolo. Ascoltavano, come rapiti da un incanto.

Tra un atto e l'altro, un critico d'arte spiegava l'opera, inquadrandola storicamente. Il critico è rimasto spiazzato dalla regia, alquanto innovativa: così le sue spiegazioni sono diventate una sorta di critica in diretta. Ma questo, per detenuti e detenute, non ha avuto alcuna importanza.

Ad un certo punto si è rotta una sedia, ma nessuno ha riso o disturbato: tutti sono rimasti immobili.

Prima dello spettacolo, un detenuto "giovane adulto" (appartenente cioè alla categoria tra i 18 e i 25 anni), soprannominato Balotelli perché somiglia al calciatore, ha rivolto ringraziamenti e spiegato il senso della loro presenza.

L'area pedagogica e quella della sicurezza hanno lavorato insieme: mi sono accorta che era stato predisposto un sistema di sicurezza "morbido", ma non per questo meno sicuro, certamente adeguato alla serata della solidarietà che si stava svolgendo per tutti.

Gli organizzatori correvano da una parte all' altra, vigili, per evitare qualsiasi problema, ma sorridenti e fiduciosi verso detenuti e detenute.

L'obiettivo era infatti quello di aprirsi, per una sera, di mettersi alla prova con l'esterno, di rendere finalmente visibili alla città persone normalmente invisibili, di rendere San Vittore il quartiere di una città che lo accoglie e non lo rimuove.

La preoccupazione era che tutto andasse bene.

Tutti hanno lavorato perché mediante un evento esterno che non poteva sottrarsi all' attenzione generale, come la prima della Scala,  fosse consentito aprire la porta e il cuore della città verso la sofferenza e il dolore che quelle mura racchiudono, per condividerlo praticando la strategia buona dell'inclusione, anche se solo per una sera.

Alla fine dello spettacolo è stato offerto un risotto giallo, preparato al momento, nelle cucine della sezione femminile, a cura anche della scuola alberghiera, che organizza corsi all'interno del carcere, e servito dalle donne detenute, che mostravano chiaramente il desiderio di essere adeguate, la voglia di misurarsi e di provarlo.

All'uscita, ci sono stati omaggi di biscotti cucinati al carcere delle mamme, di cioccolatini preparati nel carcere di Busto Arsizio.

Non tutti lo sanno, forse, ma l'evento si è realizzato secondo le intenzioni.

Giovanna Di Rosa



La foto è tratta dal sito del Corriere della Sera

giovedì 12 dicembre 2013

LAVORI DI PUBBLICA UTILITA’ E REATI STRADALI

Il lavoro di pubblica utilità è nato come pena applicabile ai reati attribuiti alla competenza del giudice di pace solo su richiesta dell'imputato.
Le norme di cui agli articoli 52 e 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274 continuano infatti a regolare le modalità di base con le quali tale tipo di pena può essere irrogata.

Successivamente, la legge 21 febbraio 2006 n. 49 - con la quale è stato convertito, con modificazioni, il decreto legge 30 dicembre 2005 n. 272 - ha esteso l'applicabilità di questa pena anche a reati contemplati all'articolo 73, quinto comma, del testo unico in materia di stupefacenti (D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309), sempre su richiesta dell'imputato, in sostituzione delle pene detentive e pecuniarie, per non più di due volte. In questo caso il giudice incarica l'UEPE (Ufficio Penale di Esecuzione Penale Esterna) di verificare l'effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità e di ciò riferire periodicamente a se medesimo. In deroga a quanto stabilito all'articolo 54 più sopra menzionato, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata (mentre per i reati di competenza del giudice di pace il lavoro di pubblica utilità non può essere inferiore a dieci giorni né superiore a sei mesi). Inoltre, in caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, tenuto conto dei motivi e delle circostanze della violazione, è disposta la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso il provvedimento di revoca è ammesso ricorso per cassazione, che però non ha effetto sospensivo.

Più recentemente, l'articolo 33 della legge 29 luglio 2010 n. 120 (c.d. Nuovo codice della strada) ha esteso l'applicazione di tale istituto ai "reati stradali" prevedendo che la pena detentiva e pecuniaria prevista per i casi di guida sotto l'influenza dell'alcool (art. 186)  e di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti (art. 187) possa essere sostituita, per non più di una volta, "anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione da parte dell'imputato",  con quella del lavoro di pubblica utilità da svolgersi secondo le modalità previste al menzionato articolo 54 e consistente nella prestazione di un' attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell'educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze.
La pena non può essere sostituita con il lavoro di pubblica utilità quando l'indagato ha "causato" un incidente stradale, ma nella prassi è sufficiente essere coinvolti in un incidente stradale, a prescindere dalla responsabilità nella causazione di esso, per vedersi negata la possibilità di sostituzione.
Se si viene ammessi alla pena sostitutiva, il giudice incarica l'UEPE. In caso di positiva effettuazione del lavoro di pubblica utilità, che può essere svolto solo presso centri o enti convenzionati con il Tribunale competente, il reato viene dichiarato estinto, la sanzione della sospensione della patente viene ridotta della metà e la confisca del veicolo sequestrato viene revocata. La decisione è ricorribile per cassazione, ma il ricorso non sospende l'esecuzione a meno che il giudice che ha emesso la decisione disponga diversamente. Nei casi di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità si fa luogo a revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita (inclusa la sospensione della patente e la confisca).


Il terzo comma del citato articolo 54 stabilisce che il lavoro di pubblica utilità debba essere assolto "nell'ambito della provincia in cui risiede il condannato".  Su tale disposizione è tuttavia recentemente intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza 5 luglio 2013 n. 179 che ne ha sancito l'illegittimità per palese irragionevolezza del vincolo territoriale, che potrebbe non consentire il rispetto delle esigenze di lavoro, studio, famiglia e salute del condannato, pur previste dalla norma. La Corte ha pertanto dichiarato l'illegittimità costituzionale della previsione di cui al citato terzo comma, nella parte in cui non prevede che, "Se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità fuori dall'ambito della provincia in cui risiede".

La prassi invalsa nella maggior parte dei Tribunali italiani prevede che la sostituzione della pena con quella del lavoro di pubblica utilità possa avvenire: i) con il decreto penale di condanna* (nel caso in cui l'indagato predisponga i documenti necessari nel corso delle indagini e chieda la sostituzione nella fase procedimentale); ii) all'esito del giudizio ordinario; iii) in caso di emissione del decreto penale di condanna senza tale previsione, all'esito del giudizio instaurato a seguito di opposizione al decreto penale di condanna.

E' bensì vero che il giudizio a seguito di opposizione a decreto può consistere, oltre che in quello ordinario, anche nella richiesta di applicazione della pena sostituita (cioè il c.d. patteggiamento che prevede l'esecuzione della pena con il lavoro di pubblica utilità) o nel giudizio abbreviato, ma i tempi di definizione si allungano inevitabilmente, con correlato dispendio di risorse umane ed economiche, non soltanto per chi incappa nella violazione, ma anche per l'organizzazione della giustizia.

Se questo tuttavia è ciò che accade nella maggior parte dei Tribunali, si deve segnalare la prassi instaurata presso il Tribunale di Verbania, della quale si può avere contezza consultando il sito internet, in cui risulta chiaramente e semplicemente spiegata. In base ad essa, una volta emesso il decreto penale, è previsto che si depositi la richiesta di sostituzione della pena irrogata dal decreto con quella del lavoro di pubblica utilità, allegando il necessario corredo documentale**, senza necessità di proporre opposizione e della successiva instaurazione del relativo giudizio.
Il Tribunale provvede direttamente sull'istanza con un provvedimento che, in caso di accoglimento, integra il decreto penale di condanna precedentemente emesso; e governa l 'esecuzione sino alla dichiarazione di estinzione del reato, senza prevedere l'udienza per esaminare l'istanza e quella finale, all'esito della verifica dell'UEPE.

Negli attuali tempi di crisi, ma non solo in questi, l'iniziativa del Tribunale di Verbania è da prendere a esempio perché opera una concreta ed efficace spending review dei tempi e delle risorse umane ed economiche per un tipo di reato, quello stradale, in cui il valore rieducativo della sanzione - la possibilità di sostituire la pena con quella del lavoro di pubblica utilità - se da un lato è particolarmente avvertito, non deve dall'altro tradursi in un inutile spreco di risorse.

Chi fosse interessato a segnalare la prassi adottata in uno specifico Tribunale, può utilizzare lo spazio dei commenti o scrivere a PalaGius all'indirizzo palagius2012@gmail.com.

Emanuela Strina e Andrea Del Corno, avvocati in Milano

* il procedimento per decreto è generalmente adottata per la definizione delle violazioni delle norme che riguardano i reati stradali.
** il corredo documentale è costituito da: i) nomina del difensore, ii) copia della convenzione fra il Tribunale e il prescelto l'ente presso il quale si intende svolgere il lavoro di pubblica utilità  e iii) la dichiarazione dell'ente di concreta disponibilità ad assegnare al richiedente l'effettuazione del lavoro di pubblica utilità.