giovedì 26 ottobre 2017

AVVOCATI E PUBBLICITA'

Da Andrea Del Corno, avvocato del Foro di Milano e Consigliere dell'Ordine, riceviamo e pubblichiamo l'intervento su Avvocati e pubblicità che di seguito riportiamo.



Negli anni '90 si sottolineava che il divieto di pubblicità fosse un principio deontologico importante, diretto a sottolineare la particolare dignità della professione forense, che non è equiparabile ad una qualunque attività di servizi.

Era visto ad esempio come illecito disciplinare l'inserimento del proprio nome in grassetto nell'elenco telefonico, l'invio di biglietti augurali del professionista al personale di cancelleria oppure la diffusione di lettere circolari contenenti il nominativo del professionista e dei suoi successi professionali.

Da allora molto è cambiato perché la comunicazione professionale è andata incontro ad una forte "liberalizzazione", alla quale sono rimasti però ancorati principi deontologici e disposizioni legislative che ne delimitano il campo d'applicazione.

Si può subito dire che con il mutare dei tempi, anche a seguito delle liberalizzazioni del decreto Bersani, del nuovo codice deontologico, della nuova legge professionale e della sentenza Antitrust n° 25487 del 15/6/2015 sul caso Amicacard, la comunicazione forense va ora distinta non tanto tra informazione e pubblicità, ma tra informazione vera e corretta e pubblicità ingannevole e fuorviante.
Infatti, ogni messaggio informativo costituisce una forma di pubblicità perché l'avvocato che informa si prefigge lo scopo di incrementare la propria clientela; per questa ragione deve intervenire il principio deontologico e legislativo, che guida le modalità di comunicazione.

Prima di indicare le norme di legge riferite alla materia e la direttiva europea che la riguarda si richiamano qui gli articoli 17 e 35 del codice deontologico, che comunque rappresentano il riferimento deontologico cui deve uniformarsi il professionista rispetto alla comunicazione verso terzi.

L'art. 17 disciplina l'informazione sull'esercizio dell'attività professionale mentre l'art. 35 regolamenta il dovere di corretta informazione (le norme sono qui integralmente riportate).

Art. 17 – Informazione sull'esercizio della professione
1. E' consentita all'avvocato, a tutela dell'affidamento della collettività, l'informazione sulla propria attività professionale, sull'organizzazione e struttura dello studio, sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti.
2. Le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative.
3. In ogni caso le informazioni offerte devono fare riferimento alla natura e ai limiti dell'obbligazione professionale.

Art. 35 – Dovere di corretta informazione
1. L'avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale, quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse, deve rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell'obbligazione professionale.
2. L'avvocato non deve dare informazioni comparative con altri professionisti né equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti l'attività professionale.
3. L'avvocato, nel fornire informazioni, deve in ogni caso indicare il titolo professionale, la denominazione dello studio e l'Ordine di appartenenza.
4. L'avvocato può utilizzare il titolo accademico di professore solo se sia o sia stato docente universitario di materie giuridiche, specificando in ogni caso la qualifica e la materia di insegnamento.
5. L'iscritto nel registro dei praticanti può usare esclusivamente e per esteso il titolo di «praticante avvocato», con l'eventuale indicazione di «abilitato al patrocinio» qualora abbia conseguito tale abilitazione.
6. Non è consentita l'indicazione di nominativi di professionisti e di terzi non organicamente o direttamente collegati con lo studio dell'avvocato.
7. L'avvocato non può utilizzare nell'informazione il nome di professionista defunto, che abbia fatto parte dello studio, se a suo tempo lo stesso non lo abbia espressamente previsto o disposto per testamento, ovvero non vi sia il consenso unanime degli eredi.
8. Nelle informazioni al pubblico l'avvocato non deve indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano.
9. Le forme e le modalità delle informazioni devono comunque rispettare i principi di dignità e decoro della professione.
10. La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura.


Il nuovo codice deontologico lascia quindi ampio spazio alle nuove forme di comunicazione, mantenendo i principi di dignità e decoro e quindi le informazioni possono essere fornite con qualunque mezzo, inclusi siti web con o senza re-indirizzamento, purché queste siano rispettose dei doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza, riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell'obbligazione professionale.

Sul piano disciplinare, in punto potestà sanzionatoria, con la sentenza delle sezioni unite 13 novembre 2012 n. 19705, a Cassazione Civile ha affermato che:
"la pubblicità informativa che lede il decoro e la dignità professionale costituisce illecito, ...  poiché l'abrogazione del divieto di svolgere pubblicità informativa per le attività libero-professionali, ... non preclude all'organo professionale di sanzionare le modalità ed il contenuto del messaggio pubblicitario, quando non conforme a correttezza, in linea con quanto stabilito dagli artt. 17, 17-bis e 19 del codice deontologico forense, e tanto più che l'art. 4 del D.P.R. 3 agosto 2012, n. 137, al comma secondo, statuisce che la pubblicità informativa deve essere 'funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo di segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria'. (La S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva sanzionato l'inserimento nel 'box' pubblicitario di un giornale di uno slogan sull'attività svolta, con grafica tale da porre enfasi sul dato economico dei costi molto bassi, contenente elementi equivoci, suggestivi ed eccedenti il carattere informativo)".

Ancora si richiama il parere del CNF 49/11 con il quale si ribadisce che ai fini deontologici va distinto non tanto il mezzo (ipotesi FB e twitter) in sé e per sé utilizzato per la pubblicità, quanto l'uso che ne viene fatto e la cerchia dei destinatari che vengono a contatto con l'utente titolare del profilo personale on line.

Con parere del 26 marzo 2014 n° 12 il CNF si è espresso positivamente rispetto alla pubblicità informativa professionale sulla superficie di un automezzo (pulmino o autobus) purché non in contrasto con i principi dettati dal comma 2 dell'art. 10 legge 247/12.

Con pronuncia n° 188 del 13 dicembre 2014, sempre il CNF, ha dichiarato che non è legittima l'autopromozione ed è censurata la sub specie di informazione circa il servizio reso a tutela di deboli e danneggiati, ritenuta attività volgarmente pubblicitaria perché suggestiva, captatoria e del tutto dimentica dei doveri di lealtà e correttezza (nella fattispecie erano stati ingaggiati due figuranti presentati come propri clienti a bordo della Costa Concordia in occasione del naufragio).

Il sistema deontologico, tracciato sul piano dei principi generali, trova un evidente riferimento nell'evoluzione legislativa che sostanzialmente dal 2006 ha profondamente innovato questo specifico argomento.

Si indicano di seguito le disposizione legislative di riferimento che si sono susseguite nel tempo.
1) D.L. 233/06 convertito L. 248/06 (c.d decreto Bersani)
2) Direttiva Bolkestein CE n. 123/06
3) Legge 148/11 "manovra Bis"
4) DPR 137/2012 art. 4, riforma delle professioni.
5) Legge professionale forense n° 247/12 art. 10


1) Il cd Decreto Bersani rappresenta uno dei primi interventi nella materia della pubblicità degli studi legali anche alla luce della normativa europea.

Art. 2. Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali
1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:
b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall'ordine;

A proposito di questa normativa con la sentenza n° 13/15 il CNF precisa che:
 "come è noto il Codice Deontologico Forense, a seguito dell'entrata in vigore della normativa nota come "Bersani" non consente una pubblicità indiscriminata ma solo la diffusione di specifiche informazioni sull'attività, al fine di orientare razionalmente le scelte di colui che ricerchi assistenza nella libertà di fissazione di compenso e della modalità del suo calcolo".

Il CNF ribadisce come le limitazioni derivino dalla necessità di proteggere i beni della dignità e del decoro della professione, la cui verifica è affidata dall'ordinamento al potere – dovere dell'ordine professionale.
La norma in questione pur in un' ottica di liberalizzazione pone un primo riferimento al profilo deontologico demandando comunque a un controllo disciplinare sul punto.

2) La direttiva dell'Unione Europea 2006/123/CE, conosciuta come Direttiva Bolkestein, dal nome del suo relatore.

E' una direttiva dell'Unione Europea relativa ai servizi nel mercato unico, presentata dalla Commissione nel febbraio 2004, approvata ed emanata nel 2006.

Alla direttiva è stata data attuazione in Italia mediante il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 94 del 23 aprile 2010.

La direttiva, che disciplina i servizi nel mercato interno, non utilizza il termine pubblicità ma quello di "comunicazioni commerciali emananti dalle professioni regolamentate", definizione che conduce a una distinzione dalla pubblicità commerciale, tanto che si trova chiarito che la pubblicità degli studi legali non deve avere i contorni della pubblicità commerciale e non deve tendere all'accaparramento della clientela.

La direttiva va nella direzione di tutta l'avvocatura europea, che distingue tra informazione e pubblicità, considerando la prima un diritto dell'avvocato derivante dal mutato assetto sociale, e la seconda una attività mercantile da evitare.

Nel 1991 la Francia si è infatti dotata di una legge che permette agli avvocati di fare pubblicità nei limiti in cui ciò sia funzionale a dare informazione al pubblico sull'attività svolta e non abbia un aspetto commerciale.

Iniziativa analoga è stata adottata in Germania.

3) Legge n° 148/11 "manovra Bis", prosegue il cammino verso la regolamentazione della pubblicità nell'ambito delle professioni.
Titolo II Liberalizzazioni, privatizzazioni ed altre misure per favorire lo sviluppo

Art. 3 Abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attività economiche
5. Fermo restando l'esame di Stato di cui all'articolo 33, quinto comma, della Costituzione per l'accesso alle professioni regolamentate, gli ordinamenti professionali devono garantire che l'esercizio dell'attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l'effettiva possibilità di scelta degli utenti nell'ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti. Gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12
mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto per recepire i seguenti principi:
g) la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l'attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, è libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie.

Anche in questo caso v'è un richiamo espresso al principio deontologico.

4) D.P.R. 137/2012, Regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali.

Art.4    Llibera concorrenza e pubblicità informativa
1) E' ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l'attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professioni, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni.
2) La pubblicità informativa di cui al comma 1 deve essere funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo del segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole, denigratoria.
3) la violazione della disposizione di cui al comma 2 costituisce  illecito disciplianre, oltre ad integrare una violazione delle disposizione di cui ai decreti legislativi 6 settembre 2006, n. 206, e 2 agosto 2007, n. 145.

5) Legge n° 247/2012 (Legge Professionale) art. 10_ Informazioni sull'esercizio della professione 
1.  E' consentita all'avvocato la pubblicità informativa sulla propria  attività  professionale, sull'organizzazione e struttura dello studio e sulle eventuali specializzazioni e titoli  scientifici e professionali posseduti.
2.   La pubblicità e tutte le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere comparative con altri professionisti, equivoche, ingannevoli, denigratorie o suggestive.
3.   In ogni caso le informazioni offerte devono fare riferimento alla natura e ai limiti dell'obbligazione professionale.
4. L'inosservanza delle disposizioni del presente articolo costituisce illecito disciplinare.

Quest'ultima normativa, che costituisce la riforma dell'ordinamento professionale forense, richiama i principio deontologici regolanti la materia e prevede la possibilità di utilizzare il titolo di specialista di cui all'art. 9 della Legge Professionale.

Il complesso iter legislativo sul punto tuttavia, nonché la recente sentenza del Tar Lazio del 14 aprile 2016, che ha annullato il decreto ministeriale attuativo dell'art. 9 della Legge Professionale, hanno indotto il Consiglio dell'Ordine di Milano a emettere la delibera del 5 ottobre 2017, alla luce del fatto che a tutt'oggi non è ancora possibile l'utilizzo del termine "specialista".
In conclusione il rispetto dei canoni di decoro e dignità non può più rinvenirsi nel concetto che la pubblicità sia vietata, ma nel corretto esercizio di questo diritto nel rispetto del canone deontologico.



giovedì 14 settembre 2017

DIRITTO ALLO STUDIO E NUMERO CHIUSO: UN COMMENTO SULLA DECISIONE DEL TAR DEL LAZIO


Pubblichiamo il commento di Giorgio Barbini, avvocato amministrativista del foro di Lodi, sulla pronuncia del TAR per il Lazio emessa il 31 agosto 2017 in relazione al provvedimento con il quale l'Università degli Studi di Milano ha programmato l'accesso al primo anno dei corsi di laurea in Filosofia, Lettere, Scienze dei beni culturali, Scienze umane, dell'ambiente, del territorio e del paesaggio, di Storia, di Lingue e letterature straniere e comunque di tutte le facoltà umanistiche:


Il Tar per il Lazio (TAR Lazio, Roma; Sez. III, ordinanza n. 4478/2017) ha sospeso il provvedimento con il quale l'Università statale di Milano ha sostanzialmente istituito il cosiddetto numero chiuso per le facoltà umanistiche, facendo soggiacere l'accesso a queste ultime a test d'ingresso.

Il ragionamento alla base della decisione del TAR è semplice. Ha posto alla base della propria decisione la legge 264 del 1999 - «Norme in materia di accessi ai corsi universitari» - ; ha rilevato che tra le facoltà ivi elencate non erano contemplate quelle umanistiche; ha concluso che il cosiddetto numero chiuso esiste solo per le facoltà espressamente contemplate nella legge 264 del 1999.

Nel proprio provvedimento cautelare, il TAR non richiama né l'articolo 33 della Costituzione, né la legge 168 del 1989 - «Istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica» -.

Ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 33 della Costituzione, le università «[…] hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato

Ai sensi del primo comma dell'articolo 6 – rubricato «Autonomia delle università» - della legge 168 del 1989 «1. Le università sono dotate di personalità giuridica e, in attuazione dell'articolo 33 della Costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile; esse si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti.».

Non si sono rinvenute leggi dello Stato che stabiliscano divieti per le università di istituire il numero chiuso. Anche la normativa sottesa alla decisione del TAR non introduce alcun divieto. Con la legge 264 del 1999, lo Stato ha infatti imposto a tutte le università il numero chiuso, a livello nazionale, soltanto per determinate facoltà (articolo 1); il comma 1 dell'articolo 2 impone il numero chiuso per le facoltà con specifiche caratteristiche, mentre il comma 2 dell'articolo 2 riguarda esclusivamente una facoltà dell'Università di Trieste. Tutto ciò non implica, a giudizio di chi scrive, che il legislatore abbia vietato alle università di introdurre il numero chiuso per le facoltà diverse da quelle contemplate nella legge 264 del 1999.

Concludendo, contrariamente a quanto ritenuto provvisoriamente dal TAR per il Lazio, poiché non risulta introdotto dallo Stato alcun espresso divieto, le università possono legittimamente disciplinare l'accesso alle proprie facoltà in forza del loro «diritto di darsi ordinamenti autonomi».



Clicca qui per leggere l'ordinanza del TAR del Lazio