venerdì 23 maggio 2014

SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO NEI CONFRONTI DEGLI IRREPERIBILI

Il Capo III (articoli da 9 a 15) della legge 28 aprile 2014 n. 67 introduce nel codice di procedura penale  l'istituto della sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili.

Le norme sono entrate in vigore il 17 maggio 2014.

Con la nuova normativa:
i) si disciplina il processo in assenza  e non si fa quasi più riferimento alla contumacia;
ii) sono fissati i presupposti in base ai quali il processo può essere celebrato in assenza dell'imputato;
iii) non è stata modificata la disciplina delle notificazioni all'imputato e, in particolare, l'istituto dell'irreperibilità (articoli 159-160 codice di procedura penale);
iv) è esclusa la possibilità di procedere in assenza nei confronti degli imputati per i quali non vi è la prova né della conoscenza della data della udienza né dell'esistenza del procedimento;
v) nei casi di illegittima celebrazione del processo in assenza, è prevista la regressione, con conseguente possibilità di celebrare un "nuovo processo" in cui esercitare appieno il diritto di difesa, ingiustamente limitato in quello illegittimamente celebrato in assenza.

La disciplina introdotta ruota intorno a tre tipi di situazione al momento dell'accertamento della costituzione delle parti, in sede di udienza preliminare o dibattimentale, e cioè:
1)  quando c'è la prova certa che l'imputato ha conoscenza della data dell'udienza e ha espressamente rinunciato a parteciparvi;
2) quando non c'è la prova certa che l'imputato abbia conoscenza della data della udienza, ma vi siano fatti o atti da cui poter evincere, direttamente o indirettamente, la prova che l'imputato sia a conoscenza dell'esistenza del procedimento penale a suo carico;
3) quando non c'è la prova certa che l'imputato abbia conoscenza né della data dell'udienza né dell'esistenza del procedimento penale a suo carico.

Nulla quaestio se vi sia la prova certa della conoscenza dell'imputato circa la data dell'udienza e vi sia rinuncia ad assistervi: il processo potrà essere celebrato in assenza.

Se invece la prova certa riguardi la sola conoscenza dell'esistenza del procedimento penale, il giudice potrà ugualmente celebrare il processo in  assenza, ma sono previsti rimedi restitutori ove sia dimostrata l'incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo.

Quando la mancanza di prova certa si riferisca sia alla data dell'udienza sia all'esistenza del procedimento penale, il processo viene sospeso.

Pur seguendo queste linee, la normativa si modula diversamente:

i) in udienza preliminare, l' articolo 9 della legge n. 67 modifica o sostituisce gli  articoli 419, comma 1, 420 –bis, 420 –ter, 420 –quater e 420 –quinquies del codice di procedura penale;

ii) a dibattimento, l'articolo 10 della legge n. 67 sostituisce o modifica  gli articoli 489, 490, 513, 520 e 548, comma 3 del codice di procedura penale;

iii) in tema di impugnazioni e restituzione nel termine, l'articolo 11 della legge n. 67 modifica, abroga, aggiunge o sostituisce gli articoli 585 (lettera d) del comma 2), 603 (comma 4), 604 (dopo il comma 5 è inserito il comma 5 –bis), 623 (è sostituita la lettera b) del comma 1), 625 –ter (Rescissione del giudicato) inserito ex novo dopo l'articolo 625 –bis e 175 (è sostituito il comma 2) del codice di procedura penale.

I due problemi principali posti dalla nuova disciplina sono quelli di definire:
- i casi in cui il processo deve essere sospeso;
- i casi in cui si può procedere anche in assenza dell'imputato perché, pur in mancanza della prova certa circa la data dell'udienza, c'è una ragionevole certezza che l'imputato sia a conoscenza del fatto che si sta procedendo nei suoi confronti.
E' già immaginabile l'ampia casistica che si svilupperà intorno a questi due problemi.


L'articolo 12  della legge n. 67 introduce modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato e, in particolare, stabilendo che la sospensione del processo sospende il corso della prescrizione del reato (articolo 12 che aggiunge il comma 3 -bis all'articolo 159).
Anche in caso di sospensione del processo, tuttavia, la sospensione della prescrizione non può protrarsi per un periodo superiore ai termini massimi previsti dall'articolo 161, comma 2.  E ciò nonostante che la sospensione del processo possa protrarsi per un tempo non predeterminato, poiché all'esito delle periodiche verifiche, il giudice potrà prendere atto della impossibilità di disporre la nuova notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza. Potrà quindi verificarsi che la durata della sospensione del processo superi il limite previsto dall'articolo 161, con conseguente decorso del termine prescrizionale del reato in costanza della permanente sospensione del processo.

L'articolo 13  della legge n. 67 prevede modalità e termini di comunicazione e gestione dei dati relativi all'assenza dell'imputato.

L'articolo 14  della legge n. 67 apporta modifiche alle norma di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale inserendo l'articolo 143 –bis (dopo l'articolo 143) che stabilisce quali siano gli adempimenti in caso di sospensione del processo per assenza dell'imputato.

L'articolo 15  della legge n. 67 modifica il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313.
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Il legislatore è intervenuto con disposizioni di diritto transitorio soltanto successivamente (vedi sotto).
Potranno dunque verificarsi questioni in materia di diritto intertemporale, fra le quali v'è quella relativa al se le nuove norme in tema di verifica della costituzione delle parti e di processo in assenza possano trovare applicazione anche nei processi pendenti in cui sia già stato effettuato il controllo della regolare costituzione delle parti, e sia già stata dichiarata ritualmente la contumacia dell' imputato sulla base della legge vigente al momento in cui detto controllo è stato compiuto.

Su questo argomento (ma non solo su questo) si rinvia al documento, a cura dei magistrati Raffaele Piccirillo e Pietro Silvestri, pubblicato sul sito della corte di appello di Milano, in cui sono compiutamente esposte "prime riflessioni" in argomento. 
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Con la legge 11 agosto 2014 n. 118 è stato introdotto l'articolo 15-bis della legge n. 67, concernente norme transitorie per l'applicazione della disciplina della sospensione del procedimento penale nei confronti degli irreperibili, con decorrenza 22 agosto 2014..

L'articolo 15-bis è rubricato "norme transitorie" e stabilisce - al primo comma - che le disposizioni introdotte dalla l. n. 67 si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge (cioè alla data del 22 agosto 2014), a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado. 
In deroga a quanto previsto al comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità.


Clicca qui per scaricare la legge n. 67/2014

Clicca qui per scaricare le “prime riflessioni” sulla normativa pubblicate sul sito della Corte di Appello di Milano

Clicca qui per scaricare la legge n. 118/2014

giovedì 22 maggio 2014

SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO CON MESSA ALLA PROVA


Il Capo II (articoli da 3 a 8) della legge 28 aprile 2014 n. 67 introduce nel codice penale e nel codice di procedura penale  l'istituto della sospensione del processo con messa alla prova.
Le nuove disposizioni normative sono entrate in vigore il 17 maggio 2014.

René Magritte - La reconnaissance infinie
L'articolo 3 della legge n. 67 prevede che dopo l'articolo 168 del codice penale siano inseriti gli articoli 168-bis, 168-ter  e 168-quater, disposizioni con le quali si stabilisce che:

i)  i casi nei quali l'imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova, e cioè nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni (sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria), nonché per i delitti indicati al comma 2 dell'articolo 550 del codice di procedura penale;

ii) la messa alla prova comporta : 1) la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato e, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato; 2) l'affidamento dell'imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra al'altro, attività di volontariato di rilievo sociale, o l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali;

iii) la concessione della messa alla prova è subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità, che consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell'imputato;

iv) la prestazione di lavoro di pubblica utilità 1) non può avere durata inferiore a dieci giorni, anche non continuativi; 2) deve essere in favore della collettività; 3)deve essere svolta presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato; 4) è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato e 5) la sua durata giornaliera non può superare le otto ore;

v) la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato non può essere concessa più di una volta e non si applica nei casi di delinquenza abituale, professionalità nel reato e tendenza a delinquere di cui agli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 del codice penale;

vi) durante il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova: 1)  il corso della prescrizione del reato è sospeso; 2) non si applicano le disposizioni  del primo comma dell'articolo 161 codice penale (effetti della sospensione e dell'interruzione della prescrizione);

vii) l'esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede, ma l'estinzione del reato non pregiudica l'applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge;

viii) la sospensione del procedimento con messa alla prova è revocata 1) in caso di grave e reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, ovvero di rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità; 2) in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede.

L'articolo 4 della legge n. 67 prevede modificazioni al codice di procedura penale, e precisamente 1) che nel libro sesto, dopo il titolo V sia aggiunto il Titolo V-bis, con gli articoli 464 –bis, 464 –ter, 464 –quater, 464 –quinquies, 464  –sexies, 464 – septies, 464 –octies, 464 –novies e 2) che dopo l'articolo 657, sia inserito l'articolo 657 –bis, disposizioni con le quali si stabilisce che:

sulla richiesta di sospensione del procedimento:

i) la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova può essere proposta oralmente o per iscritto: 1) fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 codice di procedura penale; 2) fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento  di citazione diretta a giudizio; 3) se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, entro il termine e con le forme stabiliti dall'articolo 458, comma 1 del codice di rito; 4) nel procedimento per decreto, la richiesta è presentata con l'atto di opposizione;

ii) la volontà dell'imputato è espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall'articolo 583, comma 3, codice di procedura penale;

iii) all'istanza va allegato un programma di trattamento elaborato di intesa con l'ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE), ovvero, nel caso in cui non sia stata possibile l'elaborazione, la richiesta di elaborazione del predetto programma;

iv) il programma prevede in ogni caso: 1) le modalità di coinvolgimento dell'imputato (del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita) nel processo di reinserimento sociale (ove ciò risulti necessario e possibile); 2) le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l'imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all'attività di volontariato di rilievo sociale; 3) le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa;

v) al fine di decidere sulla concessione, ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni cui eventualmente subordinarla, il giudice può acquisire, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell'imputato;

vi) le informazioni di cui al punto che precede devono essere portate tempestivamente a conoscenza del pubblico ministero e del difensore dell'imputato;

sulla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari:

i) il giudice trasmette gli atti al pubblico ministero affinché esprima il consenso o il dissenso nel termine di cinque giorni;

ii) se il pubblico ministero presta il consenso il giudice provvede ai sensi del'articolo 464 –quater, e cioè con ordinanza, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129 del codice di rito, nel corso della stessa udienza, sentite le parti nonché la persona offesa, oppure in apposita udienza in camera di consiglio, della cui fissazione è dato contestuale  avviso alle parti e alla persona offesa;

iii) il consenso del pubblico ministero deve risultare da atto scritto e sinteticamente motivato, unitamente alla formulazione dell'imputazione;

iv) in caso di dissenso, il pubblico ministero deve enunciarne le ragioni;

v) in caso di rigetto, l'imputato può rinnovare la richiesta prima dell'apertura del dibattimento di primo grado e il giudice, se ritiene la richiesta fondata, provvede ai sensi dell'articolo 464 – quater;

sul provvedimento del giudice e sugli effetti della pronuncia:

i) il giudice provvede con ordinanza, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129 del codice di rito, nel corso della stessa udienza, sentite le parti nonché la persona offesa, oppure in apposita udienza in camera di consiglio, della cui fissazione è dato contestuale  avviso alle parti e alla persona offesa. Si applica l'articolo 127 codice di procedura penale;

ii) se ritiene di verificare la volontarietà della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice dispone la comparizione dell'imputato;

iii) la sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta dal giudice quando, in base ai parametri di cui all'articolo 133 del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati. A tal fine, il giudice valuta anche che il domicilio indicato nel programma dell'imputato sia tale da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato;

iv) con il consenso dell'imputato,  il giudice può integrare o modificare il programma di trattamento anche sulla base delle informazioni acquisite ai sensi del comma 5 dell'articolo 464 –bis, e ai fini di cui al comma 3 dell'articolo 464 – quater;

v) il procedimento non può essere sospeso per un periodo: 1) superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria; 2) superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria;

vi) i termini di durata della sospensione del procedimento decorrono dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova dell'imputato;

vii) contro l'ordinanza che decide sull'istanza della messa alla prova possono ricorrere per cassazione l'imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa; la persona offesa può impugnare autonomamente l'ordinanza, ma solo per omesso avviso dell'udienza o perché, pur essendo comparsa, non è stata sentita ai sensi del comma 1; l'impugnazione non sospende il procedimento;

viii) nel caso di sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica l'articolo 75, comma 3, del codice di procedura penale;

ix) in caso di rigetto dell'istanza, questa può essere riproposta nel giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento;

René Magritte - Golconde
sull'esecuzione dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova:

i) nell'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice stabilisce il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi relativi alle condotte riparatorie o risarcitorie imposti devono essere adempiuti; il termine può essere prorogato una sola volta e solo per gravi motivi, su istanza dell'imputato;

ii) con il consenso della persona offesa, il giudice può autorizzare il pagamento rateale delle somme eventualmente dovute a titolo di risarcimento del danno;

iii) l'ordinanza è immediatamente trasmessa all'UEPE che deve prendere in carico l'imputato;

iv) durante la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice può modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, dopo aver sentito l'imputato e il pubblico ministero, ferma restando la congruità delle nuove prescrizioni rispetto alle finalità della messa alla prova;

sull'acquisizione di prove durante la sospensione del procedimento con messa alla prova:

i) durante la sospensione del procedimento con messa alla prova,  a richiesta di parte e secondo le modalità stabilite per il dibattimento, il giudice acquisisce le prove non rinviabili e quelle che possono condurre al proscioglimento dell'imputato;

sull'esito della messa alla prova:

i) decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice acquisisce la relazione conclusiva dell'UEPE che ha preso in carico l'imputato e fissa l'udienza per la valutazione dandone avviso alle parti e alla persona offesa;

ii) il giudice dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento dell'imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite, ritiene che la prova abbia avuto esito positivo;

iii) in caso di esito negativo della prova, il giudice dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso;
René Magritte - Infinite gratitude

sulla revoca dell'ordinanza:

i) la revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta con ordinanza anche d'ufficio dal giudice, previa fissazione di apposita udienza a'sensi dell'articolo 127 codice di procedura penale per la valutazione dei presupposti della revoca, dandone avviso alle parti e alla persona offesa almeno dieci giorni prima;

ii) l'ordinanza di revoca è ricorribile per cassazione per violazione di legge;

iii) quando l'ordinanza di revoca è divenuta definitiva, il procedimento riprende il suo corso dal momento in cui era rimasto sospeso e cessa l'esecuzione delle prescrizioni e degli obblighi imposti;

sul divieto di riproposizione della richiesta di messa alla prova:

i) in caso di esito negativo della prova (articolo 464 – septies, comma 2) o di revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, l'istanza non può essere riproposta;

sul computo del periodo di messa alla prova dell'imputato in caso di revoca:

i) in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova, il pubblico ministero determina la pena da eseguire, detraendo un periodo corrispondente a quella della prova eseguita;

ii) ai fini della detrazione, tre giorni di prova sono equiparati a un giorno di reclusione o di arresto, ovvero a 250 euro di multa o di ammenda.

L'articolo 5 della legge n. 67 introduce il capo X-bis del titolo I delle norme di attuazione di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale. Il capo X –bis è rubricato "Disposizioni in materia di messa alla prova" ed è composto dagli articoli 141 –bis e 141 –ter che dispongono, rispettivamente:

sull'avviso del pubblico ministero per la richiesta di ammissione alla messa alla prova:

i) il pubblico ministero, anche prima di esercitare l'azione penale, può avvisare l'interessato, ove ne ricorrano i presupposti, che ha la facoltà di chiedere di essere ammesso alla prova, ai sensi dell'articolo 168 –bis del codice penale, e che l'esito positivo della prova estingue il reato;

sull'attività dei servizi sociali nei confronti degli adulti ammessi alla prova:

i) le funzioni dei servizi sociali per la messa alla prova, disposta ai sensi dell'articolo 168 –bis del codice penale, sono svolte dagli uffici locali di esecuzione penale esterna, nei modi e con i compiti previsti dall'articolo 72 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni;

ii) l'imputato rivolge richiesta all'ufficio locale di esecuzione  esterna competente affinché predisponga un programma di trattamento, depositando gli atti rilevanti del procedimento penale nonché osservazioni e le proposte che ritenga di fare;

iii) all'esito di apposita indagine socio-familiare, l'UEPE redige il programma di trattamento, acquisendo su quest'ultimo il consenso dell'imputato e l'adesione dell'ente o del soggetto presso il quale l'imputato è chiamato a svolgere le proprie prestazioni;

iv) l'UEPE trasmette quindi al giudice il programma accompagnandolo con l'indagine socio-familiare e con le considerazioni che lo sostengono;

v) nell'indagine e nelle considerazioni l'UEPE riferisce specificamente sulle possibilità economiche dell'imputato, sulla capacità e sulla possibilità di svolgere attività riparatorie nonché sulla possibilità di svolgere attività di mediazione, anche avvalendosi a tal fine di centri o strutture pubbliche o private presenti sul territorio;

vi) quando è disposta la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, l'UEPE informa il giudice, con cadenza stabilita nel provvedimento di ammissione e comunque non superiore a tre mesi, dell'attività svolta e del comportamento dell'imputato, proponendo, ove necessario, modifiche al programma di trattamento, eventuali abbreviazioni di esso ovvero, in caso di grave o reiterata trasgressione, la revoca del provvedimento di sospensione;

vii) alla scadenza del periodo di prova, l'UEPE trasmette al giudice una relazione dettagliata sul decorso e sull'esito della prova medesima;

viii) le relazioni periodiche e quella finale dell'UEPE son depositate in cancelleria non meno di dieci giorni prima dell'udienza di cui all'articolo 464-septies del codice di procedura penale, con facoltà per le parti di prenderne visione ed estrarne copia.

Gli articoli 6 e 7 della legge n. 67 - cui si rinvia - introducono, rispettivamente, apposite norme in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti riferite alla messa alla prova, e disposizioni riguardo la pianta organica degli uffici locali di esecuzione penale esterna del Dipartimento dell'amministrazione finanziaria del Ministero della giustizia.

L'articolo 8 della legge n. 67 prevede un regolamento del Ministero della giustizia per disciplinare le convenzioni in materia di lavoro di pubblica utilità conseguente alla messa alla prova dell'imputato da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge. Tale regolamento ha lo scopo di disciplinare le convenzioni che il Ministero della giustizia o, su delega di quest'ultimo, il presidente del tribunale, può stipulare con gli enti o le organizzazioni di cui all'articolo 168 –bis del codice penale.
E' inoltre previsto che i testi delle convenzioni siano pubblicati nel sito internet del Ministero della giustizia e raggruppati per distretto di corte di appello.

René Magritte - The return
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Le novità della legge n. 67 sono molteplici e le conseguenti implicazioni possono destare più di un aspetto problematico. Uno di questi, sul quale si richiama subito l'attenzione del lettore, è l'assenza di una disciplina transitoria. Come ci si regolerà dunque nel caso in cui l'imputato che potrebbe accedere  all'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova si trovasse, alla data di entrata in vigore della legge n. 67 (17 maggio 2014), in una fase processuale più avanzata rispetto alle scadenze fissate dall'articolo 464 –bis del codice di procedura penale? La questione non pare risolvibile in via interpretativa e il problema è dunque aperto.
Su questo e altri aspetti, si rinvia al documento, a cura dei magistrati Raffaele Piccirillo e Pietro Silvestri, pubblicato sul sito della corte di appello di Milano in cui sono compiutamente esposte "prime riflessioni" in argomento.

Per un primo provvedimento da parte del tribunale di Torino, si rinvia invece al  post  del 1° luglio 2014.
Per le linee guida elaborate dal Tribunale di Milano, vedi il post del 10 luglio 2014.

Clicca qui per scaricare la legge n. 67/2014
Clicca qui per scaricare le “prime riflessioni” sulla normativa pubblicate sul sito della Corte di Appello di Milano




giovedì 15 maggio 2014

FILTRO DI INAMMISSIBILITA’ PER GLI APPELLI PENALI: UN’INTERESSANTE PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE ANNULLA SENZA RINVIO UN’ORDINANZA DELLA CORTE DI APPELLO DI MILANO

Una recentissima sentenza della 5° sezione penale della Corte di Cassazione  ha annullato senza rinvio l'ordinanza della Corte di Appello di Milano che dichiarava inammissibile* l'impugnazione proposta dall'imputata avverso la sentenza con la quale il locale Tribunale l'aveva condannata per il reato di cui all'articolo 612 bis codice penale (Atti persecutori).
Palazzo di Giustizia di Milano

La Corte di Appello aveva ritenuto generiche le doglianze espresse nell'atto di appello,  "là dove lamentavano che il giudice avesse impedito all'imputata di terminare le sue dichiarazioni spontanee e si fosse rifiutato di assumere una teste, neppure citata tempestivamente; e che in altra parte si risolvessero in accuse al consulente tecnico (rectius: perito) d'ufficio, /…/ prive di riscontro e di fondamento, nonché basate su assunti meramente apodittici e congetturali, in quanto privo di correlazione con gli argomenti della sentenza.".

La pronuncia della Corte di legittimità è interessante perché pur osservando che la Corte di Appello si era richiamata, "facendone espressa menzione",  alla norma di cui all'articolo 581, comma 1, lettera c) codice di procedura penale (relativa alla specificità dei motivi),  rileva tuttavia che la stessa Corte "ha invece attribuito ai motivi di appello ben altri vizi", riconducibili a una loro pretesa infondatezza; e che "solo nel riferirsi alla censura riguardante l'impedito completamento delle dichiarazioni spontanee dell'imputata quel collegio è ricorso alla categoria della genericità, peraltro senza spiegare quali fossero le indicazioni mancanti, che sarebbero state idonee a rendere specifica la doglianza.".

Corte Suprema di Cassazione
Da tali rilievi muove la Corte di Cassazione per affermare che "in ogni caso il vizio di uno dei motivi non sarebbe stato sufficiente a giustificare il giudizio di inammissibilità dell'appello nel suo complesso" e per statuire che "l'infondatezza dei motivi di gravame, quand'anche manifesta, non è ricompresa fra le cause di inammissibilità dell'impugnazione nel giudizio di merito, a differenza di quanto disposto per il giudizio di cassazione dall'art. 606, comma 3, cod. proc. pen.".

L'ordinanza della Corte di Appello di Milano è stata dunque annullata senza rinvio e gli atti trasmessi  alla stessa Corte affinché dia corso al giudizio di impugnazione.

* Per un approfondimento sul tema, cfr. post  del 24 novembre 2012

Clicca qui per leggere l'ordinanza della Corte di Appello di Milano
Clicca qui per leggere la sentenza della Corte di Cassazione



lunedì 5 maggio 2014

SUICIDIO IN CARCERE: QUALE RESPONSABILITA’ PER IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA?

Un doloroso caso di cronaca è l'occasione per riflettere sull'argomento.

Il 12 agosto 2009 Luca Campanale moriva suicida per  impiccagione nella cella del carcere milanese di San Vittore ove era detenuto, e la Procura apriva un procedimento penale.

Nel 2013 si celebrava il processo avanti al Tribunale di Milano nei confronti della psicologa e della psichiatra, imputate di cooperazione in omicidio colposo perché, nelle loro rispettive funzioni, entrambe in servizio presso la casa circondariale di Milano San Vittore, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia e, in particolare, con violazione dell'arte medica e dei doveri inerenti alla loro qualifica pubblica nell'ambito della citata casa circondariale, cagionavano la morte (per erronea valutazione del rischio suicidario sussistente in capo al paziente) del detenuto Campanale Luca per asfissia meccanica da impiccagione.

Già costituitisi parti civili nei confronti di entrambe le imputate, i familiari della vittima chiedevano al Tribunale che fosse citato, quale responsabile civile, il Ministero della Giustizia cui estendevano l'istanza risarcitoria per i danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti  alle condotte della psicologa e della psichiatra, avendo queste ultime"agito per conto e nell'interesse dell'Amministrazione Penitenziaria che rappresenta l'apparato amministrativo per mezzo del quale il Ministero di Giustizia esercita le sue funzioni rispetto a chi si trova in stato di detenzione".

Il Tribunale emetteva il decreto con il quale veniva ordinata la citazione del Ministero della Giustizia, che si costituiva chiedendo la propria estromissione dal giudizio.  

Dopo aver sentito le parti, il Tribunale rigettava con ordinanza la richiesta di estromissione del Ministero, valutando   -  in astratto e in via preliminare, riservando ogni giudizio di merito all'esito dell'istruttoria dibattimentale -  la sussistenza "di una possibile responsabilità di natura civilistica dell'Amministrazione Penitenziaria",  ritenuto che  "l'esistenza o meno del lavoro subordinato non è condizione dirimente per escludere meccanicamente le responsabilità dell'Amministrazione"  e tenuto conto che sia la psicologa sia la psichiatra "svolgevano comunque attività all'interno della struttura carceraria sottoposta a controllo e osservazione di natura funzionale e gerarchica da parte di personale dipendente del Ministero della Giustizia"; e rilevato inoltre che "ai sensi del D.P.C.M. del 1 aprile 2008 allegato B, è prevista l'attivazione di specifici programmi mirati alla riduzione dei rischi di suicidio attraverso 'la definizione di  protocolli e modalità di collaborazione tra gli operatori dei servizi di salute mentale e gli operatori del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria' con ciò prevedendosi espressamente unitarietà di intervento modulata anche in seno all'Amministrazione Penitenziaria con conseguente assunzione primaria di responsabilità".

Con la sentenza pronunciata l'8 aprile 2014 a conclusione del giudizio di primo grado il Tribunale affermava - fra altro - che l'istruttoria dibattimentale aveva "rafforzato /…/ l'esistenza di una responsabilità diretta del Ministero della Giustizia /…/ in relazione ad evidenti omissioni sul piano della organizzazione interna e della vigilanza".  Evidenziava al riguardo che se era pur vero che con deliberazione della Giunta della Regione Lombardia n. 8/8120 del 1 ottobre 2008 si stabiliva che il personale sanitario in servizio negli istituti penitenziari era trasferito alle Aziende ospedaliere individuate nell'allegato, parte integrante del citato provvedimento, a decorrere dal 1 ottobre 2008, era peraltro evidente che si trattava di un "processo  di trasferimento progressivo di competenze e, conseguentemente, della creazione di un diverso rapporto fra ente di gestione dell'assistenza sanitaria e Amministrazione Penitenziaria", ma che la situazione "al momento dei fatti oggetto di attenzione processuale non poteva che essere fluida e non ancora definita, sul piano della trasmigrazione delle competenze, tanto che numerosi operatori in servizio presso la casa circondariale di Milano San Vittore hanno escluso che le competenze in materia sanitaria fossero già di pertinenza del Servizio Sanitario Nazionale.".

Il Tribunale rilevava inoltre che in base al Decreto della Regione Lombardia n. 14230 del 21 dicembre 2009 è comunque rimessa al direttore dell'istituto penitenziario l'organizzazione e il controllo dello svolgimento delle funzioni proprie dell'istituto e il coordinamento delle attività che coinvolgono operatori non appartenenti all'amministrazione penitenziaria, i quali svolgono i compiti loro affidati con l'autonomia professionale di competenza e devono essere adeguatamente integrati nell'organizzazione dell'istituto, al pari degli operatori penitenziari.  Il che dimostra - secondo il Tribunale - che v'è comunque una "dipendenza quantomeno di tipo funzionale degli operatori sanitari che operano all'interno del carcere dall'Amministrazione Penitenziaria".

"Sul piano della responsabilità diretta del Ministero della Giustizia riguardante l'aspetto organizzativo" ,  il Tribunale osservava che il trasferimento temporaneo di Luca Campanale alla casa circondariale di Milano reparto CDT (Centro Diagnostico Terapeutico), per  "ivi avvalersi dell'assistenza medica necessaria" , fosse stato disposto con fono del 27 luglio 2009 senza che vi fosse stata una preventiva verifica della possibilità concreta di destinare il detenuto al centro medico di San Vittore. Condizione che poi non si era verificata per l'assenza di disponibilità di posti nel reparto, "con conseguente destinazione della parte lesa in una cella a rischio e creazione di tutti quegli antecedenti logici che hanno favorito le condotte oggetto di censura da parte degli operatori sanitari.".  
Non solo, il provvedimento amministrativo di trasferimento del detenuto non era stato anticipato alla direzione del carcere di Milano, "ma è stato messo a conoscenza degli operatori penitenziari nel momento stesso di arrivo di Campanale Luca /…/. Malgrado le evidenti difficoltà, generate dal sovraffollamento carcerario e dalla contrazione delle risorse, nelle quali lavorano gli operatori del circuito penitenziario non può non rilevare il Tribunale come la gestione del detenuto Campanale Luca, il quale, giova sottolinearlo, veniva trasferito per motivi di salute dopo l'acquisizione di relazioni cliniche allarmanti sul piano del suo scompenso psicotico, sia stata realizzata dall'Amministrazione Penitenziaria con un approccio burocratico e gravemente negligente. Così come appare  superficiale /…/ determinandosi una situazione di omessa vigilanza doverosa da parte della direzione della casa circondariale e quindi dell'Amministrazione, l'approccio alla vicenda personale evidenziato dallo stesso responsabile del servizio sanitario del carcere /…/ il quale non ha mai ritenuto di collocare Campanale Luca, intervenendo su un altro detenuto magari sofferente in misura minore, /…/ all'interno del CONP – Centro di Osservazione Neuropsichiatrica composto di numero 9 celle con disponibilità complessiva di 16 posti letto – o, al limite, del CDT, così frustrando le motivazioni che avevano determinato il Provveditorato a disporne l'urgente trasferimento dalla casa di reclusione di Pavia evidentemente non attrezzata per la gestione della situazione psichiatrica del detenuto."*.

Si può quindi concludere che, posto che al detenuto è necessariamente preclusa qualsiasi scelta (a causa della detenzione, appunto), se il medesimo è anche affetto da patologia psichiatrica, come nello sfortunato e doloroso caso di Luca Campanale, il Ministero della Giustizia non può in alcun modo andare esente dalla responsabilità  correlata e conseguente alla custodia che esercita, dovendo al contrario farsi carico della cura e/o dell'assistenza più adeguata del detenuto in relazione alle condizioni concrete di quest'ultimo.


*vd. post del 310 marzo 2013.

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