lunedì 5 maggio 2014

SUICIDIO IN CARCERE: QUALE RESPONSABILITA’ PER IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA?

Un doloroso caso di cronaca è l'occasione per riflettere sull'argomento.

Il 12 agosto 2009 Luca Campanale moriva suicida per  impiccagione nella cella del carcere milanese di San Vittore ove era detenuto, e la Procura apriva un procedimento penale.

Nel 2013 si celebrava il processo avanti al Tribunale di Milano nei confronti della psicologa e della psichiatra, imputate di cooperazione in omicidio colposo perché, nelle loro rispettive funzioni, entrambe in servizio presso la casa circondariale di Milano San Vittore, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia e, in particolare, con violazione dell'arte medica e dei doveri inerenti alla loro qualifica pubblica nell'ambito della citata casa circondariale, cagionavano la morte (per erronea valutazione del rischio suicidario sussistente in capo al paziente) del detenuto Campanale Luca per asfissia meccanica da impiccagione.

Già costituitisi parti civili nei confronti di entrambe le imputate, i familiari della vittima chiedevano al Tribunale che fosse citato, quale responsabile civile, il Ministero della Giustizia cui estendevano l'istanza risarcitoria per i danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti  alle condotte della psicologa e della psichiatra, avendo queste ultime"agito per conto e nell'interesse dell'Amministrazione Penitenziaria che rappresenta l'apparato amministrativo per mezzo del quale il Ministero di Giustizia esercita le sue funzioni rispetto a chi si trova in stato di detenzione".

Il Tribunale emetteva il decreto con il quale veniva ordinata la citazione del Ministero della Giustizia, che si costituiva chiedendo la propria estromissione dal giudizio.  

Dopo aver sentito le parti, il Tribunale rigettava con ordinanza la richiesta di estromissione del Ministero, valutando   -  in astratto e in via preliminare, riservando ogni giudizio di merito all'esito dell'istruttoria dibattimentale -  la sussistenza "di una possibile responsabilità di natura civilistica dell'Amministrazione Penitenziaria",  ritenuto che  "l'esistenza o meno del lavoro subordinato non è condizione dirimente per escludere meccanicamente le responsabilità dell'Amministrazione"  e tenuto conto che sia la psicologa sia la psichiatra "svolgevano comunque attività all'interno della struttura carceraria sottoposta a controllo e osservazione di natura funzionale e gerarchica da parte di personale dipendente del Ministero della Giustizia"; e rilevato inoltre che "ai sensi del D.P.C.M. del 1 aprile 2008 allegato B, è prevista l'attivazione di specifici programmi mirati alla riduzione dei rischi di suicidio attraverso 'la definizione di  protocolli e modalità di collaborazione tra gli operatori dei servizi di salute mentale e gli operatori del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria' con ciò prevedendosi espressamente unitarietà di intervento modulata anche in seno all'Amministrazione Penitenziaria con conseguente assunzione primaria di responsabilità".

Con la sentenza pronunciata l'8 aprile 2014 a conclusione del giudizio di primo grado il Tribunale affermava - fra altro - che l'istruttoria dibattimentale aveva "rafforzato /…/ l'esistenza di una responsabilità diretta del Ministero della Giustizia /…/ in relazione ad evidenti omissioni sul piano della organizzazione interna e della vigilanza".  Evidenziava al riguardo che se era pur vero che con deliberazione della Giunta della Regione Lombardia n. 8/8120 del 1 ottobre 2008 si stabiliva che il personale sanitario in servizio negli istituti penitenziari era trasferito alle Aziende ospedaliere individuate nell'allegato, parte integrante del citato provvedimento, a decorrere dal 1 ottobre 2008, era peraltro evidente che si trattava di un "processo  di trasferimento progressivo di competenze e, conseguentemente, della creazione di un diverso rapporto fra ente di gestione dell'assistenza sanitaria e Amministrazione Penitenziaria", ma che la situazione "al momento dei fatti oggetto di attenzione processuale non poteva che essere fluida e non ancora definita, sul piano della trasmigrazione delle competenze, tanto che numerosi operatori in servizio presso la casa circondariale di Milano San Vittore hanno escluso che le competenze in materia sanitaria fossero già di pertinenza del Servizio Sanitario Nazionale.".

Il Tribunale rilevava inoltre che in base al Decreto della Regione Lombardia n. 14230 del 21 dicembre 2009 è comunque rimessa al direttore dell'istituto penitenziario l'organizzazione e il controllo dello svolgimento delle funzioni proprie dell'istituto e il coordinamento delle attività che coinvolgono operatori non appartenenti all'amministrazione penitenziaria, i quali svolgono i compiti loro affidati con l'autonomia professionale di competenza e devono essere adeguatamente integrati nell'organizzazione dell'istituto, al pari degli operatori penitenziari.  Il che dimostra - secondo il Tribunale - che v'è comunque una "dipendenza quantomeno di tipo funzionale degli operatori sanitari che operano all'interno del carcere dall'Amministrazione Penitenziaria".

"Sul piano della responsabilità diretta del Ministero della Giustizia riguardante l'aspetto organizzativo" ,  il Tribunale osservava che il trasferimento temporaneo di Luca Campanale alla casa circondariale di Milano reparto CDT (Centro Diagnostico Terapeutico), per  "ivi avvalersi dell'assistenza medica necessaria" , fosse stato disposto con fono del 27 luglio 2009 senza che vi fosse stata una preventiva verifica della possibilità concreta di destinare il detenuto al centro medico di San Vittore. Condizione che poi non si era verificata per l'assenza di disponibilità di posti nel reparto, "con conseguente destinazione della parte lesa in una cella a rischio e creazione di tutti quegli antecedenti logici che hanno favorito le condotte oggetto di censura da parte degli operatori sanitari.".  
Non solo, il provvedimento amministrativo di trasferimento del detenuto non era stato anticipato alla direzione del carcere di Milano, "ma è stato messo a conoscenza degli operatori penitenziari nel momento stesso di arrivo di Campanale Luca /…/. Malgrado le evidenti difficoltà, generate dal sovraffollamento carcerario e dalla contrazione delle risorse, nelle quali lavorano gli operatori del circuito penitenziario non può non rilevare il Tribunale come la gestione del detenuto Campanale Luca, il quale, giova sottolinearlo, veniva trasferito per motivi di salute dopo l'acquisizione di relazioni cliniche allarmanti sul piano del suo scompenso psicotico, sia stata realizzata dall'Amministrazione Penitenziaria con un approccio burocratico e gravemente negligente. Così come appare  superficiale /…/ determinandosi una situazione di omessa vigilanza doverosa da parte della direzione della casa circondariale e quindi dell'Amministrazione, l'approccio alla vicenda personale evidenziato dallo stesso responsabile del servizio sanitario del carcere /…/ il quale non ha mai ritenuto di collocare Campanale Luca, intervenendo su un altro detenuto magari sofferente in misura minore, /…/ all'interno del CONP – Centro di Osservazione Neuropsichiatrica composto di numero 9 celle con disponibilità complessiva di 16 posti letto – o, al limite, del CDT, così frustrando le motivazioni che avevano determinato il Provveditorato a disporne l'urgente trasferimento dalla casa di reclusione di Pavia evidentemente non attrezzata per la gestione della situazione psichiatrica del detenuto."*.

Si può quindi concludere che, posto che al detenuto è necessariamente preclusa qualsiasi scelta (a causa della detenzione, appunto), se il medesimo è anche affetto da patologia psichiatrica, come nello sfortunato e doloroso caso di Luca Campanale, il Ministero della Giustizia non può in alcun modo andare esente dalla responsabilità  correlata e conseguente alla custodia che esercita, dovendo al contrario farsi carico della cura e/o dell'assistenza più adeguata del detenuto in relazione alle condizioni concrete di quest'ultimo.


*vd. post del 310 marzo 2013.

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