Con la sentenza n. 33864 depositata il 31 luglio 2015, le sezioni unite penali della corte di cassazione hanno escluso che la parte civile costituita avanti al giudice di pace abbia interesse a impugnare la sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 274 del 2000, giudicando inammissibile il proposto ricorso.
La querela che aveva dato origine al giudizio era stata sporta da una donna nei confronti del marito per i reati di percosse e minaccia (articoli 581 e 612 codice penale). Sennonché il giudice di pace, preso atto che l'imputato aveva depositato un assegno circolare di euro 1000 intestato alla persona offesa, accoglieva l'istanza di applicazione del citato articolo 35, pronunciando declaratoria di non doversi procedere per estinzione dei reati in considerazione delle intervenute attività risarcitorie e riparatorie.
La moglie dell'imputato costituitasi parte civile impugnava la sentenza. Il tribunale di Udine rigettava l'appello e confermava le statuizioni del giudice di pace, osservando che, in relazione agli episodi contestati, la somma offerta dall'imputato appariva addirittura eccedente il danno effettivamente subito dalla querelante, considerato che dall'istruttoria svolta era emerso che le "gravi sofferenze lamentate dalla querelante erano in realtà riconducibili, più che alle violenze subite, alla crisi del rapporto coniugale", cioè a una situazione che non poteva essere addebitata unilateralmente all'imputato e che era in ogni caso estranea all'oggetto del risarcimento.
Più che per la vicenda sottostante, la sentenza delle sezioni unite riveste particolare interesse perché fa il punto sui poteri di impugnazione della parte civile, non solo avverso le sentenze del giudice di pace.
Nel caso di specie la corte ha messo innanzitutto in evidenza che il contrasto interpretativo investe un duplice profilo: quello relativo alla possibilità o meno per la parte civile che non abbia proposto ricorso immediato ai sensi dell'articolo 21 del citato decreto legislativo n. 274 di proporre impugnazione non solo agli effetti civili ma anche agli effetti penali e, qualora si escluda tale ultima possibilità, quello relativo alla sussistenza o meno in capo alla parte civile dell'interesse a proporre impugnazione ai soli effetti civili.
Ricostruito il contrasto, le sezioni unite ritengono che per quanto riguarda il giudizio davanti al giudice di pace la persona offesa costituitasi parte civile è legittimata a proporre impugnazione agli effetti della responsabilità civile in virtù della regola generale posta dall'articolo 576 del codice di procedura penale, disposizione applicabile in forza del richiamo di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 274, secondo il quale nel procedimento davanti al giudice di pace, per tutto quanto non previsto nella normativa speciale si osservano - in quanto applicabili - le norme contenute nel codice di rito.
Tuttavia, ai sensi dell'articolo 38 del decreto legislativo n. 274, in caso di procedimento instaurato con il ricorso immediato previsto dall'articolo 21 dello stesso decreto, la parte civile ha altresì facoltà di proporre impugnazione anche agli effetti penali avverso le sentenze relative a tutti i reati rientranti nella competenza del giudice di pace. Questa disposizione – osserva la corte – "mentre da un lato amplia la facoltà di impugnazione per la parte civile, dall'altro introduce una limitazione, in quanto circoscrive l'ampliata facoltà d'impugnativa ai soli casi, tassativamente indicati, in cui è ammessa l'impugnazione da parte del pubblico ministero, cioè nei casi previsti dall'articolo 36 (sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria e sentenze di proscioglimento per reati puniti con pena alternativa).".
Dalla disciplina integrata degli articoli 36 e 38 del citato decreto legislativo discende pertanto il principio secondo il quale l'articolo 576 del codice di procedura penale è applicabile al procedimento davanti al giudice di pace nelle ipotesi di citazione a giudizio dell'imputato ad opera del pubblico ministero (articolo 20 del decreto legislativo n. 274), mentre l'articolo 38, relativo al solo ricorso immediato, estende la stessa facoltà impugnativa, anche agli effetti penali.
Ciò posto, la corte verifica se il potere di impugnazione della parte civile, con particolare riferimento alle sentenze di proscioglimento, incontri limitazioni sotto il profilo dell'interesse "come diretta conseguenza del principio di economia processuale di cui all'art. 568, comma 4, cod. proc. pen.".
Nella pronuncia in commento si richiama in proposito l'insegnamento giurisprudenziale secondo il quale l'interesse a proporre impugnazione deve essere apprezzabile non solo in termini di attualità, ma anche di concretezza, sì che dalla modifica del provvedimento impugnato possa derivare l'eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame.
Nel caso di specie - prosegue la corte - l'interesse all'impugnazione della parte civile è legato all'eventuale efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile.
L'articolo 652 del codice di procedura penale prevede espressamente, al comma 1, che solo "la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento" abbia efficacia di giudicato, "quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell'interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l'azione in sede civile a norma del'articolo 75, comma 2"; mentre il comma 2 dello stesso articolo attribuisce la stessa efficacia alla "sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata a norma dell'articolo 442, se la parte civile ha accettato il rito abbreviato".
Tale disciplina, relativa agli effetti della sentenza penale nell'eventuale giudizio civile con specifico riferimento alle sentenze di proscioglimento, costituisce una deroga - osserva la corte - al generale principio di autonomia e di separazione delle diverse giurisdizioni, venuto meno con l'entrata in vigore del codice del 1989, sicché coerentemente la giurisprudenza di legittimità, in sede sia penale sia civile, ha escluso la possibilità di applicazione analogica della stessa oltre i casi espressamente previsti.
E' stata infatti esclusa l'efficacia delle pronunce di improcedibilità, sia di quelle emesse, per ragioni anche di merito, prima del dibattimento (articoli 425 e 469 codice di procedura penale), sia di quelle di carattere processuale (per mancanza di una condizione di procedibilità o per estinzione del reato) emesse in esito al dibattimento (articoli 529 e 531 codice di procedura penale).
La regola di cui all'articolo 652 del codice di procedura penale deve essere infatti interpretata nel senso che la formula assolutoria debba poggiare su di un effettivo e positivo accertamento circa l'insussistenza del fatto, o l'impossibilità di attribuirlo all'imputato o riguardo alla circostanza che il fatto sia stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima. L'effetto di giudicato è quindi collegato al concreto effettivo accertamento dell'esistenza di una di queste ipotesi. Ed è in base a tale interpretazione che è stato individuato l'interesse della parte civile a impugnare le sentenze di proscioglimento negli specifici casi di efficacia extrapenale del giudicato, "poiché solo in tali casi la pronuncia preclude il perseguimento degli interessi della parte privata anche in sede civile.".
Così definiti i confini del potere di impugnazione della parte civile, le sezioni unite risolvono la questione sottoposta al loro vaglio escludendo l'interesse della parte civile a impugnare agli effetti sia penali sia civili la sentenza dichiarativa di estinzione del reato per condotte riparatorie ex articolo 35 del decreto legislativo n. 274. Questa pronuncia si limita infatti ad accertare la congruità del risarcimento offerto ai soli fini dell'estinzione del reato, con una valutazione operata allo stato degli atti, senza alcuna istruttoria e con sentenza predibattimentale; non è quindi idonea a rivestire autorità di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni o per il risarcimento del danno e non può produrre pertanto alcun effetto pregiudizievole nei confronti della parte civile.
Spiega infatti la corte che nel caso di specie v'è, da un lato, l' argomento di natura "letterale e sistematica" che fa riferimento all' articolo 38 del decreto legislativo n. 274, che preclude l'impugnazione della parte civile anche agli effetti penali se la citazione a giudizio non è avvenuta a seguito di ricorso a'sensi dell'articolo 21; e dall'altro, il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che limita efficacia extrapenale del giudicato alle sole ipotesi previste dall'articolo 652 del codice di procedura penale, da cui deriva la statuizione circa l' assenza di interesse in capo alla parte civile all'impugnazione della sentenza dichiarativa di estinzione del reato a'sensi dell'articolo 35 del menzionato decreto. Tale pronuncia, chiarisce la corte, pur contenendo "una valutazione in ordine all'entità dei danni subiti dalla parte civile", viene adottata in base a una norma (il citato articolo 35) "tesa a perseguire la ricomposizione della cd. 'pace sociale', dal punto di vista penalistico, con uno sguardo anche alla posizione della parte offesa, collocata tuttavia in una posizione di 'lateralità' processuale". Ciò che, secondo la corte, "emerge dal fatto che nel correlare l'estinzione del reato alla valutazione di congruità del giudice di pace, la norma presuppone che siano state sentite le parti, ma non che sia stato acquisito il consenso della persona offesa, la cui eventuale mancanza non si pone, pertanto, quale condizione ostativa all'operatività del meccanismo estintivo.".
Come a dire che "la valutazione di congruità delle condotte risarcitorie e riparatorie poste in essere dall'imputato" - nel caso di specie, l'assegno circolare di 1000 euro intestato alla persona offesa depositato al giudice di pace - si muove su "due binari paralleli, non alternativi tra loro, ma che hanno lo stesso convergente obiettivo finale": la soddisfazione delle esigenze compensative inerenti il profilo civilistico e di quelle retributive e preventive concernenti gli obiettivi di prevenzione e repressione generale e speciale nel settore penale, nell'ottica dello scopo finale sia di ridimensionare il fatto reato attraverso una rielaborazione del conflitto tra autore e vittima, così favorendo la ricomposizione della lacerazione creatasi nel tessuto sociale, sia di deflazionare i processi penali.
Nel disegno del legislatore, cioè, il positivo apprezzamento ai fini satisfattivi della idoneità complessiva della condotta riparatoria dell'imputato "prescinde /…/ dall'integrale risarcimento del danno" , devoluto, se del caso, alla competenza del giudice civile, mentre è privilegiato "il perseguimento in via anticipata degli interessi pubblicistici", legati al processo penale.
La parte civile che non ritenesse esaustivo il risarcimento offerto dall'imputato, potrà comunque adire il giudice civile, rispetto al quale la pronuncia penale, in base ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità e richiamati nella sentenza in commento, non avrà incidenza alcuna, "in quanto la congruità del risarcimento, operata allo stato degli atti ai soli fini dell'estinzione del reato, lascia comunque impregiudicata la possibilità di un nuovo e completo accertamento circa l'esistenza e l'entità del danno in favore della persona offesa".
La conclusione è conforme al fatto che le sentenze di proscioglimento per estinzione del reato non statuiscono sulla responsabilità dell'imputato e pertanto non possono avere alcun effetto negativo per la parte civile se non contengono alcun capo del dispositivo relativo all'accertamento ed alla quantificazione del danno, che rimane sommariamente delibato ai soli fini di cui all'articolo 35 del decreto legislativo n. 274 del 2000.
Emanuela Strina, avvocato in Milano
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Diversamente da quanto ritenuto dalle sezioni unite con la sentenza n. 33864 presa in esame nel post, con la sentenza n. 36476 depositata il 9 settembre 2015, la IV sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che la pronuncia ex art. 35 del D.Lgs n. 274 del 2000 «esige una valutazione di assoluta esaustività della condotta riparatoria, cui deve aggiungersi l’ulteriore apprezzamento da parte del giudice di comportamenti dell’imputato improntati a lealtà, correttezza e alle regole dei bon ton, in vista della riaffermazione dei valori sociali naturalmente lesi dalla condotta criminosa» e che in relazione a ciò sia «onere del giudice compiere ogni possibile indagine, ad esempio al fine di individuare la percentuale del concorso di colpa e la durata e l’entità delle lesioni patite dalla persona offesa, l’attivazione dell’imputato per l’eliminazione delle conseguenze dell’illecito attraverso interventi concreti atti ad assicurare alla persona offesa il ristoro del pregiudizio subito e a soddisfare le esigenze di riprovazione e di prevenzione connesse al fatto tipico».
RispondiEliminaLa Corte ha perciò accolto il ricorso avverso la sentenza del Giudice di Pace, che aveva prosciolto l’imputata con pronuncia ex art. 35 del citato D.lgs a fronte del pagamento di € 9.010, somma ritenuta dal ricorrente Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro come manifestamente insufficiente ad integrare la condotta riparatoria, essendo pari a un decimo della pretesa risarcitoria ed essendo pendente una controversia tra le parti per la quantificazione del danno.
L’impugnata sentenza è stata perciò annullata con rinvio per nuovo esame al Giudice di Pace di Pesaro.