sabato 1 febbraio 2014

DECRETO CARCERI: la sospensione dell’esecuzione della pena resta ferma a tre anni


La normazione cosiddetta emergenziale è una costante del nostro paese e ancora una volta, sotto le pressioni della Corte Europea di Strasburgo e del Presidente Napolitano, è stata utilizzata per affrontare l'annoso problema del sovraffollamento carcerario.

La materia è però complessa, e nel tempo si sono susseguiti numerosi interventi legislativi che hanno reso il cimento, per così dire, scivoloso, tenuto anche conto che l'esecuzione della pena è uno degli snodi su cui ruota la qualità garantista e di civiltà di un ordinamento giuridico.

L'intento del Governo è dunque comprensibile, soprattutto se sul piano politico si è sin qui scelto di evitare un provvedimento di clemenza quale l' amnistia o l'indulto.

Ogni intervento dovrebbe tuttavia essere eseguito con la massima attenzione per evitare quelli che appaiono, a tutti gli effetti, dei corto circuiti normativi. Dopo la svista che riguarda i minorenni che spacciano piccole dosi di droga e che non potranno essere più arrestati o messi in comunità, si rivela infatti un'altra pecca del dl n. 146: il mancato coordinamento del comma 5 dell'articolo 656 del codice di procedura penale con la nuova previsione dell'articolo 47 O.P. (Ordinamento Penitenziario, legge 26 luglio 1975, n. 354).

La norma del codice di rito (articolo 656) prevede che "se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni, quattro anni nei casi previsti dall'articolo 47-ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 [modificata dal dl n. 78, sul quale vd. post del 9 luglio 2013, n.d.r.] , o sei anni nei casi di cui agli articoli  90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l'esecuzione".  
La disposizione stabilisce infatti che l'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato (e al difensore nominato per la fase dell' esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio), con l'avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazioni necessarie, volta a ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47 –ter e 50, comma 1, O.P. e di cui all'articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309, ovvero la sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 del testo unico appena citato. 
L'avviso informa altresì che ove non sia presentata l'istanza, o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti dell' anzidetto testo unico, l'esecuzione della pena avrà corso immediato.
Fuori dal linguaggio tecnico, ciò significa che se la pena da eseguire è contenuta nei tre anni, il condannato non viene condotto immediatamente in carcere e ha tempo trenta giorni per chiedere di scontare la pena in modo alternativo alla detenzione.

L'articolo 47 O.P. è stato modificato dal dl n. 146 (vd. post 3 gennaio 2014), nel senso che è stata estesa a tutti i condannati che debbono espiare una pena detentiva, anche residua, non superiore a quattro anni  la possibilità di ottenere l'affidamento in prova di cui all'articolo 47 O.P.. Il dl n. 146 ha infatti allungato il termine di un anno, ché precedentemente l'anzidetta possibilità era riservata a coloro che dovevano espiare una pena detentiva non superiore a tre anni.

La modifica introdotta dal dl n. 146 riguardo all'articolo 47 O.P. non è stata tuttavia coordinata con il disposto del quinto comma dell'articolo 656 del codice di rito. E qui sta lo "scivolone", perché l'ordine di esecuzione per una pena detentiva, anche residua, superiore ai tre anni, ma entro i quattro, avrà necessariamente esecuzione immediata, non potrà essere sospeso e quindi non impedirà l'ingresso in carcere; mentre il condannato detenuto potrà accedere a una misura alternativa alla detenzione anche se la pena residua da scontare è superiore ai tre anni ma contenuta nei quattro.  L'intervento normativo ha quindi creato pure una disparità di trattamento fra il condannato libero e quello detenuto, con le conseguenze in termini di contenzioso che è facile immaginare.

Il dl n. 146 dovrà essere convertito in legge entro il 23 febbraio prossimo: c'è tempo per rimediare alla evidenziata disparità e imprimere efficacia concreta alla misura emergenziale pensata per ridurre, sia pure in modo controllato, la popolazione carceraria.

Emanuela Strina e Andrea Del Corno, avvocati in Milano

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