venerdì 12 dicembre 2014

LA PRIMA DENTRO: il racconto di Giovanna Di Rosa

Giovanna Di Rosa è magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Milano, riprenderà a giorni il suo ruolo dopo la consiliatura al Consiglio Superiore della Magistratura, anche quest'anno è stata tra coloro che hanno assistito alla prima della Scala a San Vittore. Ecco il suo racconto.


Anche quest'anno abbiamo assistito alla prima della Scala dalla rotonda di San Vittore.
Come raccontare a parole ciò che è emozione?
Ci provo così.

Accanto ai detenuti (140 uomini, oltre alle donne della sezione femminile) siedono magistrati, rappresentanti delle istituzioni, volontari, importanti protagonisti del mondo della medicina, della cultura, dell'editoria, giornalisti e autorità varie, in tutto circa 300.

Si inizia con l'inno di Mameli. Detenuti e non, ci siamo alzati in piedi in segno di rispetto e, al termine, applaudiamo anche se i musicisti sono sul telo. Continueremo così: applausi alla situazione, ai personaggi, al nostro essere insieme.

Inizia l'opera.
Il Fidelio, si sa, è particolare: ambientato in carcere, parla di amore ma anche di sopraffazione senza regole nel desiderio della libertà, alla fine riconquistata spezzando la catena che imprigionava ingiustamente l'innocente.
Penso: ma sullo schermo c'è uno specchio e il carcere si guarda, diventa spettacolo...

Eppure il vero spettacolo siamo noi: chi è stato condannato, chi in carcere lavora, e chi per la prima volta è qui, dopo aver varcato la soglia di non si sa quale mondo sconosciuto e temuto. Seduti accanto, senza barriere e timori.
Una persona mi racconta di aver sentito una forte emozione, prima di entrare.

Ecco allora la forza dell'iniziativa, a che serve aprire San Vittore a serate come questa: il fuori va a cercare il dentro e si accorge che contiene persone: silenziose, anche nei passaggi più critici dell'opera, nonostante i sottotitoli dal tedesco traducano parole pesanti come macigni, spietate nella loro sinteticità, che accomunano le parole celle e orrore.

E i detenuti zitti, come gli altri, travolti dalla musica e dalla storia: l'autorità della storia è infatti corrotta e malvagia e le autorità presenti scrutano i volti degli spettatori, ma restano impassibili, nessuno ammicca né contesta.

Alla fine, come abbiamo letto sui giornali, applausi convinti solo ai buoni, silenzio per i cattivi, come a misurare, con la forza dell'applauso, il gradimento del personaggio, in una sintesi che appare semplice ma che in realtà esprime forza e partecipazione.

Non penso possibile un maggior grado di consapevolezza anche della responsabilità che gli operatori si sono assunti in questa scommessa e i detenuti sono stati pienamente all'altezza della promessa fatta.

Già, perché tenere i detenuti fuori dai bracci e non dietro le sbarre, seduti nell'improvvisata platea e a cancelli aperti si fa dall'anno scorso ma non nelle altre carceri, né è una cosa scontata. E' una cosa seria, una prova che conferma quanto sia giusta la nuova strada della condivisione nella vigilanza dinamica, senza cioè il controllo a vista.
Vince insomma la ragione e l'impegno dei bravi operatori che hanno spiegato , nel tempo come e perché sia bene seguire questa strada.


Nell'intervallo, caffè e bevande con fettine di panettone fatto nel carcere di Padova.
L'anno scorso ho visto, a Padova, come fanno questi buonissimi panettoni, con una lievitazione lunghissima, in forni grandi e con alta professionalità. E ricordo il profumo di panettone che all'improvviso si era diffuso in quel carcere e che sapeva di speranza.
Tutti, sempre detenuti e non, sciamano nel corridoio antistante uno dei bracci attraverso i cancelli aperti per assaggiare e commentare.
I detenuti sono attenti, avvicinano più facilmente i giudici che conoscono e con i quali sorseggiano il caffè.
Si tentano commenti sull'opera, uno di loro mi dice che quando esce all'aria deve coprirsi gli occhi con le mani, come nell'opera, mi  domandano quando torno in servizio e rispondo: questione di giorni.

L'opera riprende e poi si conclude: il malvagio smascherato, il prigioniero ingiustamente trattenuto viene liberato dalla forza della verità, dall'istituzione onesta e dall'amore della compagna.

Avevano però comunicato un orario diverso per la conclusione dell'opera. Questo comporta un ritardo nella preparazione del risotto nelle cucine del femminile.

Mi chiamano allora per fare, al centro della rotonda per il discorso finale e dico: abbiamo visto il bene che vince sempre sul male, la giustizia trionfa, non c'è niente da fare. E noi che abbiamo trascorso insieme quelle due ore, un fuori venuto per conoscere, comprendere, collaborare e un dentro che si è aperto e lasciato guardare, in una calda aspettativa anche natalizia, siamo il vero spettacolo.
Saluto e arriva il risotto, ovviamente alla milanese.

All'uscita gli omaggi della cooperativa Alice, la sartoria delle detenute: una borsina di tela con i biscotti fatti dalle detenute mamme dell'ICAM.

Ecco la nostra serata della prima alla Scala.
La scala dei valori.

Giovanna Di Rosa


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