In attesa di commentare il decreto legge anti femminicidio, da Luigi Turinese, medico e psicologo analista, riceviamo e pubblichiamo alcune note di commento al post di Giovanna Pezzuoli, pubblicato il 16 agosto 2013 sul blog del Corriere della Sera, La 27 Ventisettesima Ora, a proposito del libro di Lundy Bancroft, "Uomini che maltrattano le donne", edito da Vallardi, da pochi giorni in libreria.
Ci sono temi che percorrono i mezzi di comunicazioni di massa e i discorsi pubblici e privati sostenuti da un'onda lunga che in parte trae origine da eventi, in parte da una sorta di retorica comunicativa.
Uno di questi riguarda il cosiddetto "femminicidio": termine infelice che evoca una sorta di fabbrica di omicidi di persone di sesso femminile.
Messa così, la questione non può che richiamare l'attenzione su una (ontologica?) spietatezza maschile.
Do per scontato che il fenomeno ci sia e che stia assumendo proporzioni allarmanti. Tuttavia non se ne esce semplicemente con una legge né diffondendo l'idea che gli uomini siano cattivi e le donne vittime designate.
La mia opinione è che, come sempre quando si vuole cercare di capire un'emergenza sociale, bisogna usare un grandangolo: ovvero allargare la visione del fenomeno quanto meno alle condizioni in cui si realizza – o meglio non si realizza – un tentativo di comunicazione tra uomini e donne.
La rapida evoluzione del ruolo femminile a partire dagli anni '60 ha comportato un cortocircuito nella decodificazione dei comportamenti: ne è risultata, da parte di molti uomini, una grande difficoltà nel comprendere i messaggi – soprattutto quelli non verbali – provenienti dal mondo femminile; specularmente, spesso le donne non sono sempre chiare nel formulare i loro desideri quanto sono invece determinate nell'esprimerli.
Gianna Tarantino: Contatto con l'Ombra |
Per venire a Lundy Bancroft, la sua posizione mi sembra orientata a sostenere le donne maltrattate ma non a comprendere il grave disagio in cui versa la relazione tra uomini e donne. Spingersi sino a negare l'importanza di una psicoterapia per gli uomini, poi, costituisce in un certo senso un atto di resa.
Il problema, semmai, è che difficilmente sarà l'uomo maltrattante a chiedere una terapia. Si dovrebbe iniziare a pensare a una prevenzione culturale: i tempi sarebbero lunghi ma ci si avvicinerebbe al focus del problema.
Il discorso si fa complesso, per cui mi limito a suggerire un tema: quello del divario che si viene a creare – nell'uomo e nella donna – tra la proposta idealizzante in fatto d'amore e "lo stato dell'arte". C'è bisogno di un'educazione sentimentale adeguata ai tempi: si continua a proporre un Amore Assoluto talmente lontano dalla realtà da indurre cocenti delusioni e la sensazione perenne di avere tra le mani un prezioso vaso irrimediabilmente lesionato. Al tempo stesso non ci si cura di educare alla comunicazione e all'espressione dei sentimenti: una malattia in crescita è infatti l'alessitimia (letteralmente "mancanza di parole per le emozioni"), ovvero la difficoltà nel riconoscere ed esprimere verbalmente le emozioni.
La parola è l'acquisizione più alta dell'essere umano e quando non ci sono più "le parole per dirlo" (per parafrasare un celebre titolo di Marie Cardinal) il ricorso agli atti diventa più di una tentazione: quasi una disperata necessità; quando poi tale condizione si incontra con elementi psicopatici o sociopatici, situazioni che rendono incapaci di empatia e di rimorso, tali atti hanno alte probabilità di divenire atti delittuosi.
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