martedì 15 ottobre 2013

SOVRAFFOLLAMENTO CARCERARIO: il richiamo alla politica

Riceviamo e pubblichiamo l'intervento dell'avvocato Andrea Del Corno sulla posizione espressa dalla Corte Costituzionale riguardo alle questioni sottoposte dai tribunali di sorveglianza di Venezia e Milano.

È del 9 ottobre 2013  la decisione della Corte Costituzionale di respingere, perché giudicate inammissibili,  le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Sorveglianza di Venezia e di Milano, dirette a consentire alla magistratura di sorveglianza il rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena (previsto dall'art. 147 codice penale), oltre che nelle ipotesi previste dalla legge, anche nel caso in cui quest'ultima non potrebbe che svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità.

Il ricorso alla Corte Costituzionale dei Tribunale di Sorveglianza di Venezia e Milano era fondato sulla grave situazione di sovraffollamento carcerario e quindi sulle condizioni di vita in carcere non più rispettose della previsione della costituzione e delle norme europee in materia.
Si legge nel comunicato stampa emesso dalla Consulta che "la Corte ha ritenuto di non potersi sostituire al legislatore essendo possibili una pluralità di soluzioni al grave problema sollevato dai rimettenti, cui la stesso legislatore dovrà porre rimedio nel più breve tempo possibile. Nel caso di inerzia legislativa la Corte si riserva, in un eventuale successivo procedimento di adottare le necessarie decisioni dirette a far cessare l'esecuzione della pena in condizioni contrarie al senso di umanità".
La questione sul campo è drammatica e tratta dell'assunzione (o meno) da parte del Parlamento, dei provvedimenti di amnistia e indulto di sua competenza e che non possono ad oggi essere sostituiti con altri, adottati dal potere giudiziario, quale "potere vicario" di una politica sino ad ora sostanzialmente attendista sul punto.
Come è noto l'indulto condona, a determinate condizioni e solo per una certa parte, la pena da eseguire, mentre l'amnistia prevede l'estinzione del reato; anche quest'ultimo provvedimento può essere limitato ed escludere alcuni reati dal suo ambito di applicazione. L'effetto della loro adozione sarebbe comunque una riduzione della popolazione carceraria e l'abbattimento di molti procedimenti penali in corso.
Si può intravvedere in questa decisione della Consulta una presa di posizione che riflette il monito del Capo dello Stato di qualche giorno fa sul tema del condono (così l'indulto altrimenti detto) e dell'amnistia, ma è certo che il livello di guardia è stato superato e che un paese civile non può rimanere inerte di fronte alle prescrizioni espresse dalla Corte di Strasburgo sulle condizioni dei carcerati nel nostro paese.
E' noto che le condizioni di vita dei detenuti sono in Italia drammatiche. E' stata pubblicata di recente sul Corriere della Sera l'intervista angosciante di una persona incarcerata per diversi giorni, che descrive cosa accade all'interno delle mura di una casa circondariale e il fatto che le condizioni di vita al suo interno, per il sovraffollamento, sono al limite dell'impossibile.
Il richiamo della Consulta sul tema del sovraffollamento carcerario sembra quindi rivolto in primo luogo alla politica, perentoriamente riportata al proprio lavoro, quello di valutare concretamente provvedimenti che consentano di riportare la detenzione carceraria ad un livello che tenga conto della sentenza della CEDU, che ha condannato lo Stato Italiano per la situazione all'interno delle nostre carceri.

Nel paese delle riforme virtuali, cioè di quelle solo annunciate e di quelle effettivamente mai applicate, il messaggio del Capo dello Stato e la recente pronuncia della Consulta suonano quindi come un forte campanello che richiama l'attenzione anche su un sistema che è al collasso per il problema dell'eccessiva durata dei processi (pur così frequentemente stigmatizzata) dovuta in massima parte all'esorbitante numero di quelli pendenti.

Si pensi che un processo penale impegna la vita di un cittadino per circa 6 anni (in alcuni Tribunali anche di più). Il che depotenzia l'efficacia deterrente della norma penale, che non è applicata in modo rapido e può rendere un incubo la vita di un cittadino, sia che questi venga al fine assolto sia che dopo questo lasso di tempo vi sia ancora il problema dell'esecuzione della pena, che, se detentiva, ricade nelle problematiche più sopra evidenziate.
In questa condizione i provvedimenti invocati da Napolitano sembrano essere ad oggi l'ultima spiaggia per risolvere le conseguenze di una ipertrofica creazione di fattispecie di reato voluta dal legislatore nel corso del tempo, realizzata da un sistema che ha ricercato nella norma penale il surrogato di un'autorevolezza politica e amministrativa carente, accompagnata e aggravata da una cronica inadeguatezza di strutture e carenza di personale.
Per chi è detenuto, l'immediato è questione di oggi e non più di domani, ma una depenalizzazione e un investimento nel campo della giustizia in termini di strutture e organico sono di fatto gli unici strumenti che possono rappresentare una chance perché non ci si ritrovi ancora in queste condizioni in un prossimo futuro.
Andrea Del Corno, avvocato in Milano




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