sabato 19 aprile 2014

VITTIME DI REATI INTENZIONALI VIOLENTI: CHI RISARCISCE QUANDO IL COLPEVOLE NON HA RISORSE ECONOMICHE?


Le recenti cronache hanno registrato la condanna di Kabobo, colpevole di  tre omicidi a picconate, alla pena detentiva (vent'anni di carcere) e al risarcimento dei familiari delle vittime.  

Ma se il colpevole è nullatenente (come nel caso di Kabobo), è rimasto sconosciuto o non è concretamente perseguibile (perché, per esempio, si è dato alla fuga),  le vittime sono destinate a rimanere insoddisfatte?
 
La questione è aperta. E' da sapere però che la direttiva 2004/08/CE del 29 aprile 2004 ha stabilito che tutti gli Stati membri debbano provvedere a che le normative nazionali istituiscano un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, capace di garantire un indennizzo equo e adeguato delle vittime.

La direttiva ha riconosciuto il diritto di presentare domanda di indennizzo nello Stato membro di residenza, ma gli Stati membri debbono assicurare che se un reato intenzionale violento è stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente, la domanda di indennizzo possa essere presentata presso un'autorità o un qualsiasi altro organismo di quest'ultimo Stato membro (c.d. situazioni transfrontaliere).

La direttiva aveva previsto due termini: quello del 1° luglio 2005 per attuare il sistema di indennizzo e quello del 1° gennaio 2006 per l'entrata in vigore delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie ai fini dell'erogazione concreta dell'indennizzo nelle situazioni c.d. transfrontaliere.

Lo Stato italiano è inadempiente rispetto a entrambi i termini, come dichiarato dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella sentenza del 29 novembre 2007.  In alcune pronunce dei giudici nazionali è stata ritenuta la responsabilità dello Stato, e segnatamente della Presidenza del Consiglio dei Ministri,  per violazione del diritto dell'Unione Europea e, in particolare, per il mancato recepimento della direttiva 2004/08/CE, con la conseguente condanna al versamento di un indennizzo alla vittima di un reato intenzionale  violento.

La prima sentenza sul tema è stata del Tribunale di Torino (sentenza 6 maggio 2010 n. 3145) che riguardava il caso di una giovanissima ragazza, sequestrata, percossa e violentata per un'intera notte da due ragazzi. I fatti erano stati accertati in sede penale, ma i due responsabili si erano resi latitanti nel corso del processo e non avevano comunque risorse per risarcire la giovane.  Accertato l'inadempimento dello Stato italiano rispetto alla direttiva citata sopra, applicati i principi della Corte di Giustizia, ma anche delle Corte di legittimità nazionale,  in tema di responsabilità per mancata attuazione di direttiva comunitaria, il Tribunale ha condannato la Presidenza del Consiglio a riparare alle gravi "conseguenze morali  e psicologiche" subite dalla ragazza, liquidando in via equitativa la somma di 90.000 euro.  

Da evidenziare che il Tribunale ha ritenuto che lo Stato italiano non abbia attuato la direttiva in commento neppure con il decreto legislativo n. 204 del 2007, che pure è intitolato all'attuazione della direttiva 2004/08/CE, perché esso "disciplina solo gli aspetti formali della procedura sul presupposto che siano già altrimenti individuati (alcuni e non tutti) i reati intenzionali e violenti cui ricollegare il sistema di indennizzo. Il decreto legislativo citato infatti all'art. 1 /…/ riconosce l'accesso alla tutela risarcitoria solo allorché nel territorio di uno Stato membro dell'Unione europea sia stato commesso un reato che dà titolo a forme di indennizzo previste in quel medesimo Stato e non già  per tutti i reati intenzionali violenti come invece pare imporre la lettera della direttiva. 
Al proposito si reputa che gli obblighi dello Stato italiano non possano dirsi esauriti con le previsioni legislative anteriori all'entrata in vigore della direttiva aventi ad oggetto gli indennizzi per le vittime di atti di terrorismo e di criminalità organizzata, di reati estorsivi e di usura poiché pur in presenza di tali previsioni la Corte di Giustizia già aveva ravvisato l'inadempimento dello Stato italiano.
Né d'altra parte si può condividere l'assunto secondo cui rientra nel potere discrezionale dei singoli Stati nazionali selezionare discrezionalmente le tipologie di reati violenti e di circoscrivere la gamma di reati interessati dalla possibilità di adire lo Stato ai fini indenni tari, poiché l'art. 12 [della direttiva, n.d.r.] non consente agli Stati questa discrezionalità laddove prescrive che tutti gli Stati membri devono predisporre un sistema indennitario delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato alle vittime.".

La pronuncia del Tribunale di Torino è stata poi confermata dalla Corte di Appello con sentenza del 23 gennaio 2012 n. 106 pur se l'ammontare della somma riconosciuta alla ragazza è stata ridotta a 50.000 euro ritenendo che si trattasse di un indennizzo, e non già di un risarcimento inteso quale integrale ristoro dei danni subiti. La Corte di Appello ha infatti precisato che la "ratio della normativa nazionale e comunitaria in tema di indennizzo delle vittime di reati violenti non può essere certamente quella di sostituire o aggiungere lo Stato all'autore del delitto nella responsabilità verso le vittime; che l'obbligo che la Direttiva pone agli Stati è invero solo quello di predisporre un indennizzo equo ed adeguato; che i criteri di liquidazione di tale indennizzo dovrebbero essere pertanto del tutto autonomi rispetto ai parametri di liquidazione del risarcimento ordinario dovuto dai responsabili del fatto di reato". Pur considerando la gravità delle circostanze di tempo e di luogo in cui si sono svolti i fatti criminosi, le modalità con i quali i reati sono stati commessi, le conseguenze morali e psicologiche subite dalla vittima, tenuto conto della giovanissima età nel caso concreto (diciotto anni appena compiuti), ma anche che "il sistema istituito prevede un indennizzo tale da assicurare una idonea compensazione, che proviene peraltro da un soggetto che non ha responsabilità per i fatti di causa", la Corte ha dunque ritenuto equo e adeguato il predetto importo di euro 50.000.

Fino a che perdurerà l'inadempimento dello Stato italiano in relazione alla direttiva 2004/08/CE, il precedente posto dal Tribunale di Torino, di poi confermato dalla Corte di Appello, costituirà, nelle situazioni c.d. transfrontaliere,  il necessario riferimento per le vittime di reati intenzionali violenti che non hanno la possibilità di essere risarcite dai colpevoli privi di risorse economiche, rimasti sconosciuti o comunque non perseguiti o perseguibili.

Le vittime (o i familiari di esse, come nel caso di Kabobo) dovranno tuttavia mettere in conto che l'indennizzo dello Stato non solo non è per nulla scontato, ma potrà conseguire solo all'esito del giudizio civile instaurato al termine del processo penale che abbia accertato in via definitiva fatti e responsabilità degli autori dei reati intenzionali violenti loro contestati.

Clicca qui per scaricare la direttiva 2004/08/CE
Clicca qui per scaricare la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 29 novembre 2007
Clicca qui per scaricare la sentenza del Tribunale di Torino 6 maggio 2010 n. 3145
Clicca qui per leggere il decreto legislativo 9 novembre 2007 n. 204 
Clicca qui per leggere la sentenza della  Corte di Cassazione, sezioni unite civili, 17 aprile 2009 n. 9147
Clicca qui per leggere la sentenza della Corte di Appello di Torino, 23 gennaio 2012 n. 106



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