martedì 10 marzo 2015

LA MANCATA APPLICAZIONE DELL’ART. 51 BIS O.P. COSTA UNA NOTTE IN CARCERE

Da martedì a sabato: cronaca di un arresto che si poteva e doveva evitare.

Omar è un giovane cittadino italiano. Da marzo 2010 ha in esecuzione una pena di sei anni; ne ha trascorsi quattro in regime detentivo, usufruendo di numerosi permessi e dal febbraio 2014 ha potuto svolgere attività lavorativa esterna al carcere (articolo 21 O.P.) presso una Onlus di Milano.

Nel dicembre 2014, dopo un primo provvedimento negativo del tribunale di sorveglianza di gennaio, Omar ha ottenuto di essere affidato in prova al servizio sociale, potendo così scontare il residuo di pena fuori dal carcere.

Nel provvedimento di concessione della misura alternativa, il tribunale di sorveglianza ha infatti considerato il lungo e positivo percorso intramurario effettuato, il contesto famigliare, il "regolare andamento" dei permessi premio, il lavoro all'esterno del carcere e l'approssimarsi del fine pena; ha quindi  ritenuto che la misura dell'affidamento in prova fosse "idonea alle esigenze di reinserimento e rieducazione e per la salvaguardia della prevenzione sociale".
La decisione del tribunale di sorveglianza è stato un vero e proprio riconoscimento sia dell'impegno profuso da Omar sul piano del reinserimento sia della politica attuata nel carcere di Bollate che offre un progetto di risocializzazione efficiente e  apprezzato.

Da dicembre 2014, Omar ha dunque proseguito il suo percorso in regime di affidamento, rientrando nell'abitazione familiare.

Il primo martedì di marzo 2015, il pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni di Milano ha notificato al difensore di Omar un ordine di carcerazione in relazione a una condanna di un anno e mezzo, confermata dalla Corte di Cassazione proprio nel dicembre 2014, per fatti risalenti a quattro anni prima, e che non consentiva al magistrato di sospendere l'esecuzione ai sensi del 5° comma dell'articolo 656 c.p.p.. Omar rischiava di entrare nuovamente in carcere, anche se il disposto dell'articolo 51 bis O.P. introdotto dal decreto legge n. 146 del 2013 (convertito con modificazioni dalla legge n. 10 del 2014) avrebbe potuto impedirlo.

La norma stabilisce infatti che "quando, durante l'attuazione dell'affidamento in prova al servizio sociale /…/ sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva, il pubblico ministero informa immediatamente il magistrato di sorveglianza, formulando contestualmente le proprie richieste".  Se il magistrato di sorveglianza rileva, tenuto conto del cumulo delle pene, che permangono le condizioni previste per l'affidamento in prova (ossia che la pena da eseguire non supera i tre anni), dispone con ordinanza la prosecuzione della misura in corso; in caso contrario, ne dispone la cessazione.

Ma il pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni ha ordinato la carcerazione di Omar senza sottoporre la questione al magistrato di sorveglianza.

Il difensore si è immediatamente accorto che l'articolo 51 bis O.P.  non era neppure menzionato nell'ordine di carcerazione e, confidando che esso non venisse eseguito sollecitamente, la mattina successiva alla notifica ha depositato due istanze: una al pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni affinché adottasse ogni provvedimento utile alla sospensione dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione e richiedesse al magistrato di sorveglianza la prosecuzione dell'affidamento in corso con riferimento al nuovo titolo detentivo; l'altra al magistrato di sorveglianza affinché disponesse tale ultima prosecuzione.

Alla fine della mattinata di mercoledì il magistrato di sorveglianza ha emesso un provvedimento di non luogo a provvedere ritenendo che competesse al pubblico ministero chiedere la prosecuzione dell'affidamento, in quanto non prevista un'ipotesi di istanza di parte; il pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni, invece, dopo aver esaminato il provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza  ha rivolto la propria istanza al magistrato di sorveglianza presso il tribunale per i minorenni, il quale ultimo ha osservato che l'istanza avrebbe dovuto essere indirizzata al magistrato di sorveglianza "degli adulti", che non ha comunque declinato la propria competenza nel provvedimento di non luogo a provvedere.

Giovedì sembrava che lo stallo potesse essere superato con l'emissione da parte del pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni di un provvedimento di cumulo delle pene che debbono essere eseguite e una richiesta di prosecuzione della misura in corso al magistrato di sorveglianza "degli adulti". C'era tuttavia una difficoltà di compilazione del cosiddetto cumulo, perché i sistemi informatici della procura del tribunale per i minorenni non sono integrati con quelli della procura del tribunale ordinario; problema risolto dalla difesa di Omar che ha inviato alla cancelleria competente copia delle sentenze che dovevano essere indicate nel provvedimento.

Venerdì mattina, prima di mezzodì, il pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni ha trasmesso via fax al magistrato di sorveglianza il provvedimento di cumulo con la richiesta di prosecuzione della misura. Ma il magistrato di sorveglianza non ha provveduto e venerdì sera agenti della questura di Milano hanno eseguito l'ordine di carcerazione traendo in arresto Omar, nonostante il difensore abbia potuto spiegare quale fosse la situazione.

Sabato mattina, il difensore si è rivolto al magistrato di sorveglianza di turno, il quale ha provveduto in via d'urgenza, applicando l'articolo 51 bis O.P. e disponendo la prosecuzione dell'affidamento in corso, con le medesime modalità e prescrizioni stabilite a suo tempo dal tribunale di sorveglianza.
Omar è stato scarcerato poco prima delle 14.00 del medesimo sabato, dopo aver trascorso una notte a San Vittore e parte della mattina al carcere minorile Beccaria dove era stato trasferito.

Inevitabile il rammarico del mancato esame del caso, che avrebbe consentito l'immediata applicazione dell'articolo 51 bis O.P. e avrebbe evitato un nuovo ingresso in carcere, anche se solo per poche ore.

Peccato! Questa volta, il sistema giustizia non ha funzionato e ha dato prova di scarsa coerenza e credibilità, soprattutto se si considera il ben diverso rigore con cui sono state valutate le istanze di affidamento, la prima delle quali era stata rigettata perché vi era necessità di verificare la prosecuzione del cammino che Omar aveva intrapreso verso il reinserimento sociale, cosicché fosse "evidente e sicuro" che il periodo di recidiva fosse esaurito e che lo stesso potesse "essere definitivamente avviato al percorso volto alla sua rieducazione in funzione di risocializzazione in un contesto che realizza maggiori libertà di movimento ed autodeterminazione", condizioni entrambe che sono state accertate e riscontrate sussistenti nel dicembre 2014 e di cui l'ordinanza di affidamento dà atto.

La vicenda di Omar è emblematica del mancato dialogo tra la procura del tribunale per i minorenni e il tribunale di sorveglianza; ciò ha rischiato di provocare l'interruzione del percorso rieducativo fondato sul rapporto fiduciario che si instaura fra istituzioni e detenuto e che in nessun caso dovrebbe essere pregiudicato dalla mancata applicazione di una norma creata anzi per preservare quel rapporto e il lavoro fatto.

Emanuela Strina e Andrea Del Corno, avvocati in Milano


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