lunedì 16 marzo 2015

VITTIMA E DECRETO PENALE: note a margine della sentenza della Corte Costituzionale

Con la sentenza n. 23 del 2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 459, comma 1, codice di procedura penale, nella parte in cui, in caso di reati perseguibili a querela, prevede la facoltà del querelante di opporsi alla definizione del procedimento con l'emissione di decreto penale di condanna.

La Corte ha ritenuto fondata la questione posta dal GIP del Tribunale di Avezzano con riferimento agli articoli 3 e 111 della Costituzione, facendo una lunga premessa sul procedimento per decreto, inteso quale "rito premiale che risponde  ad evidenti esigenze deflattive"  fin dalla relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, in cui è definito uno "strumento privilegiato di definizione anticipata del procedimento", tale da consentire "il maggior risparmio di risorse e la maggiore semplificazione".  Nella sentenza vengono infatti ricordate quali siano le caratteristiche del procedimento per decreto e i benefici premiali ad esso connessi.

A tal proposito viene altresì evidenziato che nella versione originaria, prima della modifica avvenuta nel 1999, il procedimento per decreto era riservato ai soli reati perseguibili d'ufficio, mentre l'articolo 37, comma 1, della legge n. 479 del 1999, ha successivamente esteso il rito ai reati perseguibili a querela "se questa è validamente presentata e se il querelante non ha nella stessa dichiarato di opporvisi".

Si sottolinea poi come sin dal suo ingresso nell'ordinamento la norma in questione sia stata oggetto di forti critiche "per i suoi tratti di assoluta eccentricità", poiché nel disciplinare altri casi in cui è data facoltà di opposizione  (ed è citata l'opposizione all'archiviazione ex articolo 409 codice di procedura penale e l'opposizione alla pronuncia di non doversi procedere per particolare tenuità del fatto ex articolo 34, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274 sulla competenza penale del giudice di pace) il legislatore ha riconosciuto  tale facoltà alla persona offesa, e non al querelante.

Gli argomenti richiamati nella lunga premessa introducono quello su cui si incentra la motivazione della Corte, e cioè che "la norma censurata non trova una valida giustificazione né con riferimento alla posizione processuale della persona offesa, né con riguardo a quella del querelante".

Sostiene infatti la Corte che nel processo penale la persona offesa è portatrice di un duplice interesse, quello al risarcimento del danno  e quello dell'affermazione della responsabilità penale.  Riferendosi al primo, nella sentenza si sottolinea che "l'assetto generale del nuovo processo penale è ispirato all'idea di separazione dei giudizi, penale e civile, essendo prevalente, nel disegno del codice, l'esigenza di speditezza e di sollecita definizione dei processi rispetto all'interesse del soggetto danneggiato, nell'ambito del processo penale, di avvalersi del processo medesimo ai fini del riconoscimento delle sue pretese di natura civilistica".

La Corte cita al riguardo la propria ordinanza n. 124 del 1999 emessa in relazione al decreto penale di condanna ante riforma, con cui era stata ritenuta infondata la richiesta di un pronunciamento teso a escludere l'ammissibilità del ricorso allo speciale  procedimento  di cui al Titolo V del Libro VI del codice di procedura penale nel caso in cui la persona offesa dal reato avesse manifestato, prima dell'esercizio dell'azione penale, l'intenzione di costituirsi parte civile. In  detta pronuncia, la Corte ribadiva che "l'eventuale impossibilità per il danneggiato di partecipare al processo penale non incide in modo apprezzabile sul suo diritto di difesa e, ancor prima, sul suo diritto ad agire in giudizio, poiché resta intatta la possibilità di esercitare l'azione di risarcimento del danno nella sede civile, traendone la conclusione che ogni 'separazione dell'azione civile dall'ambito del processo penale non può essere considerata una menomazione o una esclusione del diritto alla tutela giurisdizionale', essendo affidata al legislatore la scelta della configurazione della tutela medesima, in vista delle esigenze proprie del processo penale". 

Ciò detto, la Corte osserva  che la possibilità di esercitare l'azione civile nel processo penale da parte del querelante mediante l'opposizione alla definizione del procedimento con il decreto penale di condanna "è del tutto incoerente con la mancata previsione di una analoga facoltà di  opposizione" nella disciplina del  'patteggiamento'. Ne consegue, sempre secondo la Corte, che la diversità di disciplina tra il procedimento per decreto e quello relativo all'applicazione della pena su richiesta delle parti "non  trova una ragionevole giustificazione nell'interesse alla costituzione di parte civile della persona offesa/querelante".

La Corte afferma inoltre che la possibilità di opporsi alla definizione del procedimento con decreto non trova adeguata giustificazione neppure in relazione all'interesse della persona offesa  all'accertamento della responsabilità penale dell'autore del reato. Ai sensi dell'articolo 90 del codice di procedura penale, infatti, la persona offesa può partecipare al procedimento penale, anche a prescindere dalla costituzione di parte civile,  potendo presentare memorie e indicare elementi di prova in ogni stato e grado del procedimento, con esclusione del giudizio di cassazione.   

In conclusione sul punto, il querelante, quale persona offesa dal reato, non ha alcun interesse meritevole di tutela che giustifichi la facoltà di opporsi a che si proceda con il rito semplificato, fermo restando che qualora l'imputato proponga opposizione (al decreto penale di condanna), questi è rimesso nei pieni poteri della persona offesa per le successive fasi del giudizio.

La Corte considera poi l'ipotesi che il querelante in quanto tale abbia un interesse specifico, distinto da quello della persona offesa dal reato, a che il procedimento non si concluda con il decreto penale  di condanna, essendo prevista la possibilità di rimettere la querela. Ma anche sotto questo aspetto - sostiene ancora la Corte - tale interesse "non  è idoneo a fornire una ratio adeguata alla norma censurata che rimane intrinsecamente contraddittoria rispetto alla mancata previsione di una analoga facoltà di opposizione alla definizione del processo mediante l'applicazione della pena su richiesta delle parti e reca una rilevante menomazione al principio di ragionevole durata del processo".  
Secondo la Corte, infatti, la "facoltà di opposizione del querelante /…/ determina un ingiustificato allungamento dei tempi del processo e, soprattutto, ostacola la realizzazione dell'effetto deflattivo legato ai riti speciali di tipo premiale che, nelle intenzioni del legislatore, assume una particolare importanza per assicurare il funzionamento del processo 'accusatorio' adottato con la riforma del codice di procedura penale.".

In definitiva, la norma in esame cagiona una lesione del principio della ragionevole durata del processo, senza che la stessa sia giustificata dalle esigenza di tutela del querelante o della persona offesa, le quali, in virtù di quanto rilevato dalla Corte nella sentenza in commento, devono intendersi congruamente garantite.

La censurata facoltà si pone quindi in violazione del canone di ragionevolezza e del principio di ragionevole durata del processo, costituendo un bilanciamento degli interessi in gioco non giustificabile neppure alla luce dell'ampia discrezionalità che la giurisprudenza della Corte ha riconosciuto al legislatore nella conformazione degli istituti processuali.

In conclusione, secondo la Corte, "una volta ampliato il campo dei reati per i quali è possibile definire il procedimento con il decreto penale di condanna comprendendovi anche i reati procedibili a querela (con il dichiarato scopo di favorire sempre più il ricorso ai riti alternativi di tipo premiale per assicurare la deflazione del carico penale necessaria per l'effettivo funzionamento del rito accusatorio), l'attribuzione di una mera facoltà al querelante consistente nell'opposizione alla definizione del procedimento mediante decreto penale di condanna, introduce un evidente elemento di irrazionalità. Ciò in quanto:  a) distingue irragionevolmente la posizione del querelante rispetto a quella della persona offesa dal reato per i reati perseguibili d'ufficio; b) non corrisponde ad alcun interesse meritevole di tutela del querelante stesso; c) reca un significativo vulnus all'esigenza di rapida definizione del processo; d) si pone in contrasto sistematico con le esigenze di deflazione proprie dei riti alternativi premiali; e) è intrinsecamente contraddittoria rispetto alla mancata previsione di una analoga facoltà di opposizione alla definizione del processo mediante l'applicazione della pena su richiesta delle parti, in quanto tale rito speciale può essere una modalità di definizione del giudizio nonostante l'esercizio, da parte del querelante, del suo potere interdittivo.".

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Sin qui le argomentazioni che giustificano la decisione della Corte, volta innanzitutto a salvaguardare l'effetto fortemente deflattivo del ricorso ai riti alternativi di tipo premiale.

La pronuncia in commento offre tuttavia almeno uno spunto di riflessione critica se si considera che anche se vero che l'attuale sistema predilige l'esigenza di sollecita definizione del processo penale rispetto all'interesse del danneggiato di avvalersi dello stesso processo ai fini del riconoscimento delle sue pretese di natura civilistica, è pur vero che il nostro ordinamento prevede che la persona offesa/danneggiata dal reato abbia la possibilità di scegliere se esercitare l'azione di risarcimento del danno nel processo penale piuttosto che in quello civile.
Data questa possibilità, ne deriva, o ne dovrebbe derivare, che la scelta circa la sede in cui far valere la pretesa risarcitoria deve, o dovrebbe, poter essere effettuata consapevolmente, cioè dopo che la persona offesa/danneggiata dal reato è stata posta in condizione di conoscere quale sia la sorte del procedimento penale nel cui ambito sono contestate le condotte che hanno causato il danno di cui intende chiedere il ristoro, e quali siano le eventuali scelte di rito alternativo dell'imputato.

Nel procedimento per decreto non v'è possibilità, de jure condito, di scegliere "a ragion veduta" se svolgere l'azione risarcitoria davanti al giudice penale o a quello civile.  Il nostro ordinamento non contempla infatti la notificazione alla persona offesa del decreto penale di condanna (articolo 460, comma 3, codice di procedura penale), di cui è previsto soltanto che sia "data comunicazione al querelante"  (articolo 459, comma 4, codice di procedura penale) senza tuttavia che sia stabilita alcuna verifica al riguardo e tanto meno una sanzione in caso di omissione. Ciò significa che la "comunicazione" del decreto penale (che sarebbe comunque un incombente in più per il personale di cancelleria già carente e oberato), è rimessa all'iniziativa dei singoli magistrati, ma non consta che essa costituisca la prassi.

Inoltre, il decreto di citazione a giudizio emesso a seguito di opposizione a decreto penale non contiene normalmente l'indicazione della persona offesa né a questa viene notificato. La citazione della persona offesa è quindi generalmente rimessa al giudice del dibattimento che esegue il controllo della "regolare costituzione delle parti" (articoli 420 e 484 codice di procedura penale e 143 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale).

Si consideri invece l'ipotesi in cui l'imputato avanzi la richiesta di 'patteggiamento' e ottenga il consenso del pubblico ministero. In questo caso, è certamente vero, come sottolinea la Corte nella sentenza in esame, che il querelante/persona offesa, anche se costituito parte civile, non ha alcun potere interdittivo del rito e potrà indirizzare la pretesa risarcitoria soltanto nella sede propria; ma è altrettanto vero che è stato messo in condizioni di conoscere la scelta di rito effettuata dall'imputato, mediante la notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare (articolo 419 codice di procedura penale) o del decreto di citazione diretta a giudizio (articolo 552 codice di procedura penale).

Sotto questo aspetto, la previsione della facoltà per il  querelante di opporsi all'emissione del decreto penale (ora censurata dalla Corte) teneva conto dell'interesse che la persona offesa dal reato perseguibile a querela ha in relazione all'esercizio dell'azione penale, in modo da operare consapevolmente la propria scelta circa la sede in cui svolgere l'azione risarcitoria.  E si spiegava anche l'innovazione di cui all'articolo 37, comma 1, della legge n. 479 del 1999, considerato che l'interesse del querelante per l'esercizio dell'azione penale è più immediatamente "tangibile" rispetto a quello della persona offesa dal reato perseguibile d'ufficio, che non è sempre (o comunque non è necessariamente) colei che ha presentato o trasmesso la notizia di reato. Senza contare che la possibilità di scegliere consapevolmente la sede di esercizio dell'azione risarcitoria dà ragione dell'affermazione ripresa dall'ordinanza n. 124 del 1999 (citata nella sentenza che si è commentata sopra), secondo la quale "l'eventuale impossibilità per il danneggiato di partecipare al processo penale non incide in modo apprezzabile sul suo diritto di difesa e, ancor prima, sul suo diritto ad agire in giudizio", poiché infatti "resta intatta la possibilità di esercitare l'azione di risarcimento del danno nella sede civile /…/".

In conclusione, l'intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 23 del 2015 in esame ha indubbiamente privilegiato l'esigenza deflattiva, ma è anche un'occasione mancata di mettere in luce la posizione che ha nel procedimento per decreto il querelante/persona offesa dal reato perseguibile a querela, rispetto alla possibilità di venire a conoscenza dell'esercizio dell'azione penale e quindi di scegliere "a ragion veduta" la sede di esercizio dell'azione di risarcimento del danno.

Emanuela Strina, avvocato in Milano



Clicca qui per scaricare la sentenza della Corte Costituzionale n. 23 del 28 gennaio 2015





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