Una recente sentenza del Tribunale di Cremona (19 settembre 2013) offre l'occasione per fare il punto sulla responsabilità civile dei soggetti esercenti professioni sanitarie alla luce delle novità introdotte con la c.d. Legge Balduzzi (legge n. 189 del 2012).
La causa decisa dal Tribunale cremonese era stata introdotta da un paziente che assumeva di essere stato danneggiato dall'operato dei medici i quali, nell'ottobre 2004, durante l'intervento di nefrotomia percutanea sinistra, avrebbero cagionato lesioni iatrogene che sfociavano in peritonite. Inviato d'urgenza all'Ospedale Civile di Cremona, veniva diagnosticata un'insufficienza renale acuta e fibrosi retroperitoneale e veniva sottoposto a laparatomia mediana. A seguito di ciò veniva prescritto riposo per 50 giorni, ma il paziente riusciva a riprendere l'attività soltanto a gennaio 2005. Chiedeva dunque il risarcimento dei danni non patrimoniali e di quelli patrimoniali; questi ultimi derivanti dal fatto che egli, titolare di un'officina meccanica, con un solo dipendente, per lungo periodo non si era potuto dedicare all'attività di riparazione di auto d'epoca, cui egli solo provvedeva.
La sentenza accoglie la domanda con una motivazione molto ampia e corredata da puntuali rinvii giurisprudenziali.
Fra tutte le questioni implicate dal thema decidendum, scegliamo di puntare l'attenzione su quella che trae origine dall'introduzione della Legge Balduzzi e, in particolare, da quanto disposto dall'articolo 3; norma che - come noto - ha innovato in materia di responsabilità dei soggetti esercenti professioni sanitarie, stabilendo che costoro, in caso si siano attenuti alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non rispondono penalmente per colpa lieve.
Raffaele l'arcangelo della guarigione |
La nuova legge ha infatti operato una depenalizzazione condizionata a come si è svolta in concreto l'azione del sanitario, senza tuttavia escludere la responsabilità di quest'ultimo sul piano civilistico; in tali casi, infatti , rimane fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 del codice civile (vale a dire la cosiddetta responsabilità extracontrattuale o altrimenti detta aquiliana) e il giudice, "anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo", cioè se l'esercente la professione sanitaria si sia o meno attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.
Secondo il Giudice, il citato art. 3 si ispira al principio di sussidiarietà penale. Infatti, dopo aver affermato che in ambito penale il sanitario che abbia rispettato le linee guida accreditate non risponde per colpa lieve "(ossia, in ambito penale il bisogno e la meritevolezza di pena scattano solo in caso di dolo o colpa grave)", la norma si preoccupa di chiarire che, in tale caso, l'assenza di responsabilità penale non esclude la responsabilità civile e il risarcimento del danno.
"Rimane ferma dunque – in linea di massima – la cornice della responsabilità civile del sanitario disegnata dalla giurisprudenza, ancorata per le operazioni di routine, al mancato raggiungimento del risultato, negli altri casi alla verifica della sussistenza del dolo o della colpa grave."
Nella sentenza è illustrato infatti che la giurisprudenza è pervenuta a tale conclusione "all'esito di un percorso ermeneutico volto a scrutinare la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, evidenziando come essa si fondi sulla dominabilità o meno del risultato stesso, nel senso che, mentre nel primo caso esso dipenderebbe da una molteplicità di concause, concorrenti con l'azione del debitore, nel secondo dipenderebbe quasi interamente dall'attività di costui." .
Si ritiene così che nell'attività medica, retta da studi e leggi scientifiche, il risultato sia, se non dominabile, quanto meno governabile, attraverso il rispetto dello standard curativo (linee guida), salve le specificità del caso concreto. Ciò quanto meno negli interventi c.d. di routine, da intendersi – precisa il Giudice – non già come le operazioni di non difficile esecuzione, "concetto del tutto indeterminato e arbitrario", bensì come gli interventi attinenti a settori nei quali la scienza medica abbia già enucleato uno standard curativo universalmente accreditato.
Se non è disponibile uno standard curativo, si è al di fuori delle operazioni c.d. di routine. E solo nel primo caso il mancato raggiungimento del risultato fa insorgere una presunzione semplice di inadempimento, con la conseguenza che spetta al sanitario fornire la prova liberatoria, ossia che l'insuccesso dell'intervento è dipeso da caso fortuito o forza maggiore. Nel caso fortuito poi, possono rientrare le complicanze proprie e inevitabili dell'intervento medesimo, mentre non vi rientrano quelle atipiche e/o improprie, ossia quelle estranee all'intervento o inadeguate o sproporzionate, o note, ma evitabili. E in caso di dubbio, il rischio delle (con)cause ignote resta a carico del sanitario.
Dopo aver ricostruito, il concetto di standard curativo o linee guida*, il Giudice mette in luce come l'art. 3 della legge Balduzzi, il cui disposto si inserisce coerentemente in tale contesto, "va ad impattare proprio /…/ sul rischio delle concause ignote". In particolare, al verificarsi di una complicanza, malgrado il rispetto delle linee guida, dovrà essere il danneggiato a provare che l'esito infausto dell'intervento è dipeso dal fatto che il sanitario, in presenza di determinate specificità del caso concreto, avrebbe dovuto discostarsi dalle linee guida e operare diversamente, oltre a fornire la prova che tale diversa condotta sarebbe stata salvifica nella situazione di specie.
La norma in esame impone di tener conto delle rispetto delle linee guida nella determinazione della sussistenza degli estremi per il risarcimento del danno, mentre essa non si occupa del caso in cui non siano osservate, per il quale – osserva il Giudice – "parrebbe data per implicita la responsabilità (con un evidente arretramento di tutela per il sanitario, in quanto le specificità del caso concreto possono a volte imporre l'assunzione di una condotta differente – salvo ritenere che la norma non si occupi di questo caso).".
L'art. 3 disciplina invece l'ipotesi in cui, malgrado il rispetto dello standard curativo, l'intervento non abbia avuto successo, o si sia verificato un esito infausto o inatteso. In tali casi, dovendo il giudice tener conto del rispetto delle linee guida, il sanitario dovrà provare di aver rispettato lo standard curativo "della sottoclasse nella quale può essere fatto rientrare il paziente" e potrà essere chiamato a rispondere penalmente "solo laddove risulti in maniera patente che si sarebbe dovuta tenere una condotta ulteriore o diversa, una sorta di sindacato esterno, mentre in ambito civile l'indagine potrà spingersi più all'interno dell'uso che il sanitario abbia fatto della propria discrezionalità.".
Il Giudice ritiene che "proprio la discrezionalità sembra essere l'oggetto finale e ultimo delle attenzioni del Decreto Balduzzi: si vuole che il medico si attenga alle linee guida /…/ ma non si vuole negare il carattere eminentemente intellettuale della professione sanitaria, in relazione al fatto che poi, al di là delle classi, ogni individuo è diverso dall'altro", ed è rimesso appunto al sanitario "valutare le specificità del caso concreto o le variabili che possono presentarsi in corso d'opera e adottare gli accorgimenti di volta in volta più appropriati, muovendosi negli spazi lasciati liberi dalle linee guida e/o anche al di fuori di esse, se ciò sia consigliabile.".
La discrezionalità, tuttavia, potrà essere sanzionata solo se sia fornita la prova rigorosa che la condotta sarebbe stata salvifica ed era concretamente esigibile. Motivo per cui, nelle operazioni non routinarie, il sanitario è chiamato a rispondere solo per dolo o colpa grave, giacché non essendovi linee guida, tutto è rimesso alla sua discrezionalità, la quale può, appunto, essere sanzionata solo quando appaia manifestamente mal spesa.
Prima di decidere il caso sottoposto al suo vaglio, il Giudice si chiede infine se tale "nuova impostazione del problema della responsabilità medica possa applicarsi anche ai fatti pregressi e ai processi in corso" , affermando che la risposta non può che essere negativa per la naturale irretroattività della legge**.
*Sul concetto di standard curativo o linee guida, si rinvia, da un lato, all'excursus contenuto nella pronuncia in commento e, dall'altro, all'ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale della questione di costituzionalità dell'art. 3 scaricabile cliccando il link in calce al post del 1° ottobre.
** In ambito penale, l'impossibilità di applicare retroattivamente le nuove disposizioni della Legge Balduzzi sono state affrontate dalla sentenza Cantore scaricabile cliccando il link in calce al post del 1° ottobre.
Emanuela Strina e Andrea Del Corno, avvocati del Foro di Milano
Per scaricare:
la Legge Balduzzi clicca qui
la sentenza del Tribunale di Cremona clicca qui
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