domenica 10 marzo 2013

LA CHIUSURA DEGLI OPG. A colloquio con Maurizio Albertini

In base a quanto stabilito dalla L. n. 9/12, dal 31 marzo 2013 (salvo l'attesa proroga) le misure di sicurezza del ricovero in OPG  e dell'assegnazione a casa di cura e custodia non potranno più essere eseguite negli ospedali psichiatrici giudiziari, ma nelle strutture alternative che dovranno essere approntate dalle Regioni.
I soggetti sottoposti a misura di sicurezza, internati in OPG, che hanno cessato di essere socialmente pericolosi dovranno essere dimessi e presi in carico dai Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) competenti per territorio, facendo riferimento al luogo di residenza.
A decorrere dallo stesso termine (31 marzo 2013), coloro che hanno lo stato di detenuto e che necessitano di cura e/o di assistenza psichiatrica, saranno invece ospitati in apposite sezioni realizzate presso le singole carceri, le stesse per le quali il nostro Paese è stato condannato per le disumane condizioni di sovraffollamento.

Apriamo un colloquio con Maurizio Albertini, psichiatra del Dipartimento di Salute Mentale della ASL1 di Imperia, per dar voce a chi ogni giorno affronta sul campo le problematiche di adeguatezza, compatibilità ed efficacia dei trattamenti psichiatrici in OPG e nelle sezioni create all'interno delle carceri, nonché della cura e dell'assistenza psichiatrica prestata presso i DSM.

Quanto sono adeguati ed efficaci i trattamenti psichiatrici all'interno degli OPG ? Ritiene che sia possibile realizzare nel breve termine il previsto processo di superamento degli OPG?

Parlo di ciò che so, non conosco le realtà di tutti gli OPG.    
In genere, i trattamenti sono sicuramente adeguati dal punto di vista farmacologico e clinico, almeno per quello che riguarda la competenza medica. 
Non credo che sia possibile, a breve termine, il superamento degli OPG perché non esistono molte strutture territoriali adatte ad accogliere soggetti così problematici e che, oltre alla cura strettamente medica, richiedono altri supporti logistici, controlli, luoghi idonei che consentano la sorveglianza e che impediscano le fughe, ecc. Senza contare la necessità che il personale non medico sia adeguatamente formato, e in genere lo è per casi lievi, mentre non lo è per quelli molto gravi e nei quali è maggiore il grado di pericolosità.

E' compatibile l'osservazione, la cura e l'assistenza psichiatrica con la detenzione (in carcere)? A quali condizioni ? Sono adeguate le sezioni all'uopo istituite presso le carceri?

Sono stato per tre anni il consulente specialista psichiatra del Carcere di Imperia sicché la mia esperienza si limita a quella casa circondariale, piuttosto sovraffollata, in cui non esiste una sezione destinata ai pochi casi che riguardano detenuti veramente psichiatrici.
Mi sono occupato soprattutto della cura di disturbi d'ansia e di panico, dei disturbi depressivi reattivi alla condizione carceraria, della gestione delle tossicodipendenze e della cura delle psicosi, quando occasionalmente si presentavano pazienti con disturbi schizofreniformi o borderline.
Mi è capitato di inviare persone affette da schizofrenia al carcere di Torino, attrezzato per la loro cura, oppure nel reparto di psichiatria dell'ospedale di Imperia per un ricovero. 
La cura in carcere è possibile se esiste collaborazione fra medico, infermieri e guardie carcerarie soprattutto per quello che riguarda l'assunzione delle terapie.
Nei casi in cui il paziente rifiuti i colloqui psichiatrici o che rifiuti di assumere le terapie prescritte la cura diventa impossibile, con tutte le ovvie conseguenze.
Nella mia esperienza mi sono trovato a dover operare in condizioni non proprio ortodosse. Mi riferisco all'ambiente, che non è quello di un ambulatorio psichiatrico dove viene mantenuta una discreta privacy e non vi sono interferenze da parte del personale infermieristico e/o carcerario. Voglio dire: non è certo facile per un detenuto poter rimanere solo fuori dalla cella (a volte nemmeno dentro), dunque è difficile parlare, esprimersi liberamente (è proprio il caso di dirlo).
Ed è difficile per chi è detenuto (a prescindere che sia già stato condannato ovvero in attesa di giudizio) avere il coraggio di raccontare anche a un medico ciò che gli è capitato e che lo ha condotto in carcere: pochi ci riescono, molti cercano soltanto un sollievo dai sintomi oppure la possibilità di avere un momento di comprensione; altri ancora ricercano esclusivamente vantaggi personali, oppure vorrebbero solo psicofarmaci con un atteggiamento tossicomanico o manipolatorio.
Ho comunque incontrato realtà molto variabili:  raramente mi sono imbattuto in patologie mentali importanti quali la schizofrenia, i disturbi bipolari o i disturbi dell'umore non reattivi, già presenti prima dell'incarceramento (se escludiamo la tossicodipendenza naturalmente), più frequentemente mi sono trovato di fronte a disturbi narcisistici e a quelli di personalità. Per lo più si è trattato di soggetti che presentavano solo sintomi reattivi alla perdita della libertà: angoscia, ansia, depressione (a volte con idee autolesive), claustrofobia, attacchi di panico, insonnia grave, psicoastenia, somatizzazioni di vari tipi, dalla cefalea all'asma.

Che tipo di cura e assistenza possono attualmente fornire i DSM, le Comunità terapeutiche o gli altri servizi sul territorio? Rappresentano una valida e concreta alternativa all'OPG?

Nella realtà locale, la cura e l'assistenza territoriale e in Comunità Terapeutiche, o centri diurni, è adeguata per le persone che accettano le cure e di sottoporsi alle stesse.
Nei casi concreti di pazienti con gravi problemi che le rifiutino occorre che il magistrato competente intervenga sia nella fase acuta, con dei Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO), sia in seguito, con altro tipo di provvedimenti per poterli ricoverare nelle comunità anche contro la loro volontà per il tempo necessario a somministrare le cure del caso.
Allo stato, tenuto conto  del carico di lavoro esistente, dovrebbero essere creati nuovi spazi di cura per poter accogliere adeguatamente le persone attualmente internate negli OPG. 

E' dunque ancora così lunga la strada da percorrere per "superare" – come si esprime il legislatore – l' internamento e la custodia negli OPG e al contempo curare e assistere al di fuori dalle strutture alternative che dovranno essere approntate dalle Regioni ?

A meno che non intervenga un massiccio investimento in termini di risorse, penso di sì, soprattutto perché la questione logistica e quella della formazione del personale rivestono entrambe importanza cruciale. Se pensiamo alla difficoltà ad applicare veramente la legge Basaglia sul territorio, all'incremento esponenziale negli ultimi anni delle persone con disturbi mentali (dai più lievi ai più gravi) nella popolazione generale, non c'è da stupirsi se un ulteriore aumento dei carichi di lavoro in questa fase storica sia poco auspicata e auspicabile.



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