lunedì 15 aprile 2013

PAS. A colloquio con Giorgio Cavallari

Avviciniamo l'argomento della PAS, la sindrome da alienazione parentale, con Giorgio Cavallari, laureato in Medicina e Chirurgia, specialista in psichiatria e in psichiatria forense, che ha approfondito - fra altro - la diagnostica clinica e le dinamiche famigliari in età evolutiva collaborando a lungo con la magistratura come c.t.u. presso il Tribunale di Milano e Monza nelle cause di separazione fra coniugi in cui erano più coinvolte le problematiche riguardanti l'affidamento dei figli.
D: Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione ha severamente criticato la PAS evidenziando "la necessità che il giudice di merito, ricorrendo alle proprie cognizioni  scientifiche /…/, ovvero avvalendosi di idonei esperti, verifichi il fondamento, sul piano scientifico di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale". Ci può spiegare che riferimenti scientifici ha la PAS?
R:  Il termine PAS significa Sindrome da Alienazione Parentale, e definisce una condizione in cui, dopo la separazione dei genitori, il figlio (o i figli)  subirebbero da parte di uno dei genitori una "pressione" psicologica, comportamentale, cognitiva ed emotiva che porterebbero il minore ad "alienare", cioè a rigettare emotivamente e a respingere sul piano del comportamento relazionale l'altro genitore, attaccandolo, evitando gli incontri con lui, attribuendogli responsabilità e colpe, finendo talvolta a viverlo come un nemico. 
La PAS non è,  attualmente, una condizione morbosa classificata come tale all'interno del sistema diagnostico più accettato nella comunità scientifica internazionale, che è il DSM, cioè il sistema di classificazione e definizione delle infermità mentali adottato dalla American Psychiatric Association a cui si adeguano anche i professionisti della salute mentale di altri paesi. Alcuni clinici ne ipotizzano la esistenza, ma le loro tesi non hanno raggiunto quell'ampio consenso necessario perché la PAS possa essere collocata, appunto, nell'elenco delle condizioni di infermità mentale. 
Tengo a precisare che questo è lo stato dell'arte attuale, e che la psichiatria, come gli altri rami della medicina, è in evoluzione continua sia per quanto riguarda la classificazione diagnostica che gli strumenti di intervento terapeutico.
D:  Prendendo spunto dal diritto del minore alla c.d. bigenitorialità affermato dall'art. 155 del codice civile [così come sostituito dalla L. 8 febbraio 2006 n. 54, n.d.r.], in un primo commento alla sentenza della Corte di Cassazione, i Giudici del Supremo Collegio sono stati invitati  "a non fermarsi alle apparenze, legate alla sterile polemica sulla terminologia della Pas quale sindrome riconosciuta o meno"; e ciò perché, secondo il commentatore, "chiunque metta in atto un comportamento che conforti il figlio a fare a meno di uno dei suoi due genitori, provoca al minore un vero e proprio 'fattore di rischio evolutivo', anticamera di una possibile evoluzione psicopatologica in età adulta".   Che ne pensa di questa opinione?
R:  E' opinione ampiamente condivisa nella comunità scientifica che la psicopatologia sia in età evolutiva che adulta abbia una genesi multifattoriale: si tratta di condizioni morbose che originano dal complesso interagire di fattori genetici, costituzionali, psicologici, ambientali, relazionali. 
Ritengo quindi che psichiatri e psicologi che svolgono attività di periti e di consulenti in ambito forense debbano essere molto cauti, quando esprimono i loro pareri  tecnici, ad esempio nell'affermare che un determinato comportamento di un genitore è la "causa" di una patologia emersa nella prole in età evolutiva ed adulta. Questo vale per la PAS, e anche per altre condizioni. 
Precisato questo, ritengo sia alla luce delle conoscenze teoriche che dell'esperienza clinica che in ogni caso si debba evitare la marginalizzazione di un genitore dalla vita relazionale di un minore, salvo casi di grave necessità imposta dal rilievo, nel genitore escluso, di comprovata patologia mentale che si esprime in comportamenti palesemente pregiudizievoli per il figlio. 
Entrambi i genitori sono un "patrimonio" umano, affettivo, relazionale di cui un minore ha diritto, sia prima che a maggior ragione dopo una separazione, e tale patrimonio è prezioso per uno sviluppo psico-fisico e relazionale il più possibile sano. 
Contrastare la  "alienazione" di un genitore da parte dell'altro è un obiettivo a cui i giudici togati, i giudici onorari, consulenti tecnici del tribunale non possono rinunciare, e per fare questo non è necessario che la PAS sia definita formalmente dal punto di vista psicopatologico.
DRiferendoci alla sua esperienza di c.t.u. presso il Tribunale di Milano e Monza e senza entrare nel merito di alcun caso specifico, ritiene che se fosse riscontrata in concreto, la PAS potrebbe costituire una valida base per decidere a quale dei due genitori affidare i figli? In altri termini, ritiene che, da un punto di vista metodologico, la PAS possa costituire una buona "bussola"  per individuare il genitore più idoneo ai fini dell'affidamento dei figli?
R: Personalmente ritengo che nei provvedimenti  di affido la "valida base" esista già, e non credo che la introduzione della PAS possa modificarne di molto la sostanza. 
In estrema sintesi, il principio guida deve essere il seguente: un adulto anche con figli ha il diritto di separarsi dal proprio partner, ma non quello di "separare" i figli minori dallo stesso, indipendentemente dalle ragioni, per lui (o per lei) anche molto cariche di dolore e di rancore, che possono avere portato alla fine del rapporto.  
Più volte in ambito peritale mi sono trovato a proporre, e purtroppo quando necessario a consigliare  l'imposizione, del fatto che un atteggiamento empatico, rispettoso dell'umanità e delle esigenze educative dei propri figli deve vietare a chiunque di farli diventare gli "ex figli" dell'ex partner. 

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