mercoledì 16 gennaio 2013

IL CSM E LE "GIUDICHESSE"

Dalla dottoressa Giovanna Di Rosa, componente del Consiglio Superiore della Magistratura, riceviamo e pubblichiamo.

Oggi il Plenum ha registrato l'intervento a nome di Giuseppina Casella e mio, sulla necessità di rispetto per tutte le decisioni giudiziarie a prescindere dal genere di appartenenza del magistrato che le ha emesse.
Di seguito il testo:

"Nella rassegna stampa di ieri è stato pubblicato l'articolo apparso sul Corriere della Sera a firma di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi.
Essi partono dalla constatazione che, nonostante le donne raggiungano mediamente risultati più che brillanti negli studi, il differenziale tra l'Italia ed i paesi europei più sviluppati sulla partecipazione, anche qualitativa, del genere femminile al mondo del lavoro è in questi anni aumentato anziché diminuito. Pertanto, suggeriscono di porre al centro del dibattito politico e dell'azione del prossimo governo la questione femminile in Italia, anche attraverso l'adozione di strumenti quali la detassazione del lavoro femminile e un uso più flessibile del part-time per facilitare la gestione familiare.
Per quanto qui concerne, non posso non rammentare che quest'anno cade il cinquantesimo anniversario della legge n. 66 del 9 febbraio 1963, che consentì l' accesso delle donne a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la magistratura. Ad essa seguì il decreto ministeriale del 3 maggio 1963, con cui fu bandito il primo concorso aperto alla partecipazione delle donne: ed otto di loro risultarono vincitrici.
E', dunque, intenzione della sottoscritta e della consigliera Di Rosa, quali componenti del Comitato per le Pari Opportunità in Magistratura, organizzare, entro quest'anno, un convegno che non si limiti a celebrare tale anniversario, ma, soprattutto, funga anche da "balzo in avanti" per superare ogni ulteriore ostacolo al pieno conseguimento delle pari opportunità fra i generi in Magistratura.
Valga sul punto unicamente rammentare che, se nell'ambito degli 8949 magistrati in servizio, 4209 sono donne (pari ad una percentuale del 47% del totale), i posti direttivi e semidirettivi sono ancora per lo più ad appannaggio degli uomini, i quali ricoprono, rispettivamente, l'81 % dei primi ed il 70% dei secondi. Percentuali che, nella magistratura requirente, addirittura salgono all'89 % dei primi e all'86% dei secondi. Dati ancora più allarmanti si registrano con riferimento alla presenza delle donne magistrato all'interno degli organi istituzionali (valga per tutti il riferimento a questo CSM).
Ma, a tal fine, ragionando più in generale, occorre superare ogni residuo ancestrale pregiudizio nei confronti dell'universo femminile in magistratura.
E l'epiteto, che pure qualche giorno fa ha, purtroppo, avuto una larga eco sulla stampa, rivolto a talune colleghe del Tribunale civile di Milano, di "giudichesse" risulta prima che offensivo, assolutamente, direbbero gli inglesi, out of date, in quanto più consono ad una commedia all'italiana ambientata in una pretura di paese del finire degli anni '50'60.
La sottolineatura della diversità di genere al fine di delegittimare la decisione giudiziaria è il retaggio di un pregiudizio antico e, pare, ancora oggi, nel 2013, difficile da superare.
Ed è tale arretratezza culturale che va con somma urgenza superata per consentire, finalmente, come affermano gli autori del citato articolo, all'Italia di utilizzare appieno una parte essenziale del suo capitale umano: le donne."

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