L' ordinanza del Giudice del Tribunale di Napoli - Sezione Distaccata di Pozzuoli, dott. Antonio Lepre, è stata emessa per decidere sulla richiesta avanzata in via cautelare da un contribuente di inibire alla Agenzia delle Entrate di controllare, analizzare e archiviare le proprie spese in applicazione del decreto ministeriale 24.12.2012 n. 65648 in quanto, vista l'ampiezza dei dati previsti da detto decreto, l'Agenzia "verrebbe a conoscenza di ogni singolo aspetto della propria vita quotidiana, ledendo non già la sola riservatezza ma la stessa libertà individuale come potenzialità di autodeterminazione;" e, "in particolare, l'assenza di limiti di tempo consentirebbe alla Agenzia di costituire un archivio definitivo e periodicamente aggiornato di ogni singola scelta del contribuente".
Ritenuto che si vertesse in materia di diritti fondamentali della personalità, per la quale v'è la competenza della giurisdizione ordinaria, nell'accogliere l'istanza del contribuente, il Giudice afferma che il citato decreto ministeriale "deve considerarsi radicalmente nullo" e quindi, sotto il profilo dell' efficacia, giuridicamente inesistente, mancando il presupposto - pur previsto dalla normativa vigente (art. 38 d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600) - in base al quale l'Agenzia delle Entrate potrebbe eseguire gli accertamenti sintetici mercé il c.d. redditometro.
Nel caso sottoposto al suo vaglio, il Giudice ha quindi ordinato all'Agenzia delle Entrate:
- di non "intraprendere" nei confronti del ricorrente "alcuna ricognizione, archiviazione, o comunque attività di conoscenza e utilizzo dei dati" finalizzati alla determinazione sintetica del reddito complessivo del contribuente "e di cessare, ove iniziata, ogni attività di accesso, analisi, raccolta dati di ogni genere relativi alla posizione del ricorrente";
- di "comunicare formalmente al ricorrente se è in atto un'attività di raccolta dati nei suoi confronti ai fini dell'applicazione del redditometro e, in caso positivo, di distruggere tutti i relativi archivi previa specifica informazione a parte ricorrente".
La questione sottesa alla decisione del Giudice di Pozzuoli si riferisce al nuovo redditometro previsto dal citato D.M., che ha individuato il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva (cioè la spesa sostenuta dal contribuente per il proprio mantenimento e per l'acquisizione di beni e servizi) sulla base del quale può essere fondata la determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche.
La normativa vigente (art. 38 d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600) - si argomenta nell'ordinanza - consente all'Agenzia delle Entrate di "determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente" e stabilisce che "la determinazione sintetica" possa essere fondata "sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato mediante l'analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell'area territoriale di appartenenza, con decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale con periodicità biennale. In tal caso è fatta salva per il contribuente la prova contraria di cui al quarto comma" (del citato art. 38).
La norma che attribuisce il potere al Ministro dell'Economia e delle Finanze pone dunque quattro presupposti, e cioè:
i) che sia sempre concessa la prova liberatoria in capo al contribuente;
ii) che possa essere considerata qualsiasi spesa;
iii) che i campioni significativi riguardino specificamente i "contribuenti";
iv) che tali contribuenti vadano tra loro differenziati "anche" in funzione del nucleo familiare e dell'area territoriale di appartenenza.
Sennonché, esaminato il contenuto del D.M. 24.12.2012, il Giudice di Pozzuoli ritiene che detto provvedimento non sia soltanto illegittimo, ma – come anticipato – "radicalmente nullo /…/ per carenza di potere e difetto assoluto di attribuzione in quanto emanato del tutto al di fuori del perimetro disegnato dalla normativa primaria [art. 38 cit., n.d.r.] e dei suoi presupposti e al di fuori della legalità costituzionale e comunitaria, atteso che il c.d. redditometro utilizza categorie concettuali ed elaborazioni non previste dalla norma attributiva, che richiede la identificazione di categorie di contribuenti, laddove /…/ il d.m. non individua tali categorie ma altro, sottoponendo indirettamente – visto l'ampiezza dei controlli e il riferimento ai nuclei familiari – a controllo anche le spese riferibili a soggetti diversi dal contribuente e per il solo fatto di essere appartenenti al medesimo nucleo familiare (si pensi all'acquisto di un medicinale per il congiunto malato oppure del libro di lettura)".
Pur rinviando alla lettura integrale delle nove pagine dell'ordinanza, può rivestire interesse indicare i punti sui quali il Giudice di Pozzuoli si è soffermato, rilevando in particolare che il D.M. in questione:
- non fa alcuna differenziazione tra gruppi di "contribuenti" come imposto dall'art. 38 cit. e dall'art. 53 della Costituzione, "bensì del tutto autonomamente opera una differenziazione di tipologie familiari suddivise per cinque aree geografiche, ricollocando, quindi, all'interno di ciascuna delle tipologie figure di contribuenti del tutto differenti tra loro (l'operaio, l'impiegato, il funzionario, il dirigente, chi ha avuto periodi di disoccupazione alternati a periodi di forti guadagni etc etc)";
- utilizza come parametro per determinare le spese medie delle famiglie, quelle di cui al Programma statistico nazionale predisposto ai sensi dell'art. 13 d.lgs 6.9.1989, n. 322: "si utilizza, cioè, l'attività dell'ISTAT che nulla ha a che vedere con la specificità della materia tributaria che deve indirizzare la sua indagine alla ricostruzione specifica di individualizzati profili di contribuenti e non già alla ricostruzione di macrocategorie funzionali ad analisi macroeconomiche e sociologiche che proprio per questo sono del tutto eterogenee rispetto al concetto di contribuente";
- viola gli artt. 2 e 13 della Costituzione, nonché 1, 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali della UE, nonché il citato art. 38 "poiché prevede la raccolta e la conservazione non già di questa o quella voce di spesa diverse tra loro per genere /…/ ma /…/ di tutte le spese poste in essere dal soggetto" (anzi, dalla famiglia), "che viene, quindi, definitivamente privato del diritto di avere una vita privata, di poter gestire autonomamente il proprio denaro e le proprie risorse, ad essere quindi libero nelle proprie determinazioni senza dover essere sottoposto all'invadenza del potere esecutivo e senza dover dare spiegazioni dell'utilizzo della propria autonomia e senza dover subire intrusioni anche su aspetti delicatissimi della vita privata quali quelli relativi alla spesa farmaceutica, al mantenimento e all'educazione impartita alla prole e alla propria vita sessuale; soppressione definitiva di ogni privatezza e dignità riguardante, peraltro, non solo il singolo contribuente ma in realtà tutti i componenti di quel nucleo familiare";
- conferisce all'Agenzia delle Entrate un potere che va manifestamente oltre quello della ispezione fiscale, astrattamente consentito dall'art. 14, 3° comma, della Costituzione;
- viola il diritto di difesa ex art. 24 e il principio di ragionevolezza ex art. 3 della Carta costituzionale e il citato art. 38, "in quanto rende impossibile fornire la prova di aver speso di meno di quanto risultante dalle predette medie Istat: ed, infatti, non si vede come si possa provare ciò che non si è fatto, ciò che non si è comprato";
- "accomuna situazioni territoriali differenti in quanto altro è la grande metropoli altro è il piccolo centro e altro ancora è vivere in questo o quel quartiere";
- viola i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità senza essere "strumento idoneo a raggiungere in modo adeguato i prefissi obiettivi di repressione dell'evasione fiscale, pur sacrificando del tutto /…/ il diritto alla dignità, all'autodeterminazione e alla privatezza della propria vita individuale, associativa, culturale e relazionale non solo del singolo contribuente ma di tutto il suo nucleo familiare; ed, infatti, lo strumento induttivo è tanto più severo quanto più il presunto evasore è economicamente meno robusto: al soggetto /…/ meno abbiente di imperio si impone fittiziamente una spesa anche maggiore di quella reale presumendo, quindi un'evasione fiscale in caso di acquisto di taluni beni di valore eccedente il range di tolleranza; il contribuente (rectius: il nucleo familiare) più economicamente benestante, invece, ne trae beneficio, in quanto sarà sufficiente evitare di acquistare la merce con sistemi tracciabili telematicamente e potrà, quindi, spendere nella realtà molto di più di quanto, invece, in assenza di costi tracciabili, gli sarà presuntivamente imputato: in definitiva, più è benestante l'evasore potenziale, più è agevolato nel sottrarsi a tale controllo ";
- accentua le predette discriminazioni (fra contribuente meno abbiente e contribuente benestante), "anche in considerazione della insufficiente differenziazione geografica effettuata";
- si pone in contrasto con l'art. 47 della Costituzione secondo cui la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme, posto che, "per come impostato il c.d. redditometro, sarà considerato lecito esclusivamente il risparmio compatibile con tali criteri di spesa del tutto astratti e avulsi dalla realtà, in quanto scontano il fatto di aver mutuato elaborazioni statistiche nate per tutt'altri fini";
- "è in contrasto coi principi fondamentali di imparzialità, buon andamento dell'amministrazione, nonché con i conseguenti corollari di cui alla legge n. 241/1990 dei principi di leale collaborazione procedimentale volta ad assicurare uno scambio di informazioni in una logica non di antitesi ma collaborativa, in quanto il diritto al contraddittorio assicurato al contribuente è in gran parte svuotato di effettività", considerato che:
i) "si è in presenza di un procedimento di tipo eminentemente inquisitorio e sanzionatorio";
ii) "i soggetti a confronto (contribuente e Agenzia) si trovano in posizione di fortissima asimmetria";
iii) "la Agenzia si trova in situazione di oggettivo conflitto di interessi, poiché essa è normalmente vincolata al raggiungimento di obiettivi e risultati, sicché ha filologicamente interesse alla conferma della propria ipotesi, anche in ragione della sua partecipazione alla società di riscossione";
iv) "proprio in ragione di ciò, cioè della filologica previsione di obiettivi di evasione da recuperare, è evidente che l'accertamento presuntivo mercé il c.d. redditometro poiché non più ancorato – come nella vecchia disciplina – a dati certi /…/ porta seco il rischio che l'Agenzia delle entrate, anziché intensificare i controlli sulla realtà ai fini della ricostruzione reale dei redditi, tenda invece a privilegiare l'accertamento mercé il redditometro: strumento meramente burocratico, meno dispendioso /…/ e soprattutto strutturato in modo da rendere non sempre praticabile un reale ed efficace contraddittorio, tanto da escludere /…/ per certi aspetti e in una certa misura, la stessa possibilità di una prova liberatoria";
- "pone in evidente pericolo l'integrità morale della sfera privata nella sua completezza con potenzialità pregiudizievoli irreparabili e imprevedibili nelle loro evidenti proiezioni in danno della dignità umana e della relativa libertà e vita privata".